L'Amore di Gesù...racconti


Il più grande uomo della storia:
GESU' CRISTO
Non aveva servitori ma Lo chiamavano Signore
Non aveva lauree ma Lo chiamavano Maestro
Non aveva medicine ma guariva tutti
Non aveva eserciti ma i re Lo temevano 
Non ha vinto nessuna grande battaglia ma ha conquistato il mondo
Non commise nessun crimine ma Lo crocifissero
Lo seppellirono ma oggi VIVE !

 


Preghiera 
Ama tutti, o Cristo, ama queste esiliate e contristate creature, alle quali, un giorno, anche tu  volesti assomigliare e che, nonostante, non riescono ancora a rassomigliarti.
Ama , infine, anche questo tuo supplicatore, che osa invitarti a quell’irresistibile Amore che ti condusse, te Dio, a nascere nel fango e a morire nel sangue
                                                                                                          Giovanni Papini.  


INDICE



L’Amore di Gesù
Ti amo ...da morire (il tuo Gesù)
L'opale
Lui …ed io
Il saluto 

Un equivoco
I due sassolini
Tempesta in alto mare
La Madonna col Bambino
Una collana di perle
Nella capanna del presepe 
La leggenda del Pettirosso ( di Selma Lagerlof)
Racconto di Natale ( di Dino Buzzati)
Gli uccelli d'argilla 
La madre di San Pietro



L’Amore di Gesù

Un giorno, tanto tempo fa, un uomo, addolorato pesantemente nel cuore, stava camminando in un bosco.
Lui ripensava a tutta la sua vita trascorsa e riconosceva che era tutto uno sbaglio…
Ricordava di aver mentito tante volte nel suo lavoro.
I suoi pensieri si volgevano a quelle persone cui aveva rubato e alle altre che avevano rubato a lui… con inganni e sotterfugi.
Lui ricordava la famiglia nella quale era vissuto: un problema dopo l’altro!
Poi la malattia che aveva e che nessuno aveva potuto guarire.
La sua anima era piena di rabbia, di risentimento e di frustrazione.
Passeggiando nel bosco, cercava risposte che lui non poteva trovare, sapendo che tutto era inutile e destinato a fallire.
Allora si inginocchiò alla base di un vecchio albero di quercia, che lui sapeva stare lì da sempre e cominciò a pregare, con gli occhi pieni di lacrime:
"Dio, Tu hai fatto cose meravigliose per me in questa vita.
Tu mi ha detto di fare molte cose ed io l’ho fatto.
Oggi, Tu mi dici di perdonare… Io sono triste, Dio, perché non posso.
Non è giusto.
Io non meritavo che questi mi offendessero: quelli hanno agito contro di me ed io non posso perdonare, questa è l’unica cosa che io non posso fare, perché io non so perdonare. La mia rabbia è, Signore, così profonda, che io penso che io non possa più sentire Te, però… io Ti prego: insegnami a fare questa cosa che io non posso fare.
Insegnami a perdonare."
Come lui stava là inginocchiato nell'ombra quieta di quel vecchio albero di quercia , sentì qualcosa che gli cadde sopra la spalla. Aprì gli occhi. Con la coda dell’occhio vide qualcosa di rosso sulla sua camicia.
Lui non poteva girarsi per vedere che cosa fosse, allora alzò la sua testa e vide due piedi trattenuti al legno con un grande chiodo che li trafiggeva.
Guardò più in alto e vide chiodi anche alle sue mani: era Gesù che pendeva sulla croce. Lui riguardò ancora le ferite nelle Sue mani, una ferita nel Suo fianco, un corpo lacerato e battuto dalle frustate, profonde spine gli trafiggevano la testa.
Alla fine… vide la sofferenza e il profondo dolore sulla Sua faccia splendente.
Come allora i loro occhi si incontrarono… Gesù cominciò a parlare.
"Ha detto mai una bugia, Lui chiese?
L’uomo rispose: -Sì, Signore!"
Hai fatto sempre del bene al prossimo?
L’uomo rispose:- No, Signore.!"
"Hai mai rubato?"
L’uomo rispose: -Sì, Signore!"
"Hai mai giurato, e usato invano il nome di mio Padre?
L'uomo, tra le lacrime, rispose "Sì, Signore!"
E Gesù continuava a domandargli se avesse fatto questo e quello e all’uomo non rimaneva che rispondere sempre… "Sì, Signore!"
Poi Gesù girò la testa da un lato all'altro, verso quel qualcosa che era caduto sulla camicia di quell’uomo.
Era una goccia del Sangue di Gesù.
Quando lui guardò di nuovo in alto, i suoi occhi incontrarono quelli dolci di Gesù:
c'era uno sguardo di amore che gli uomini non avevano visto mai o che non avevano mai conosciuto prima.
Disse Gesù: "Io non meritavo questo, ma ti perdono!"  

Ti amo ...da morire  
                                      il tuo Gesù
Un giorno Gesù e il diavolo conversavano; ad un certo punto, Gesù chiese:
-Cosa stai facendo con le persone sulla terra?
Il diavolo rispose: -Mi sto divertendo con loro, insegno loro a fare bombe,ad uccidere, a usare le armi, a odiarsi l’un l’altro, ad abusare dell’infanzia; insegno ai giovani ad usare droghe, a bere, a mentire e a fare ogni cosa proibita. Mi sto divertendo tanto!
Gesù: - E dopo, cosa farai con loro?
- Dopo la farò finita con tutti, li ucciderò!
Gesù allora chiese: - Quanto vuoi per loro?
Il diavolo gli rispose: -Perché amare queste persone? Sono traditrici, bugiarde, false, egoiste e avide! Loro non ti ameranno mai veramente, bestemmieranno contro di te e sputeranno sul tuo volto, ti disprezzeranno e non ti terranno in nessuna considerazione!
 -Quanto vuoi per loro, diavolo?
 -Voglio tutte le tue lacrime e tutto il tuo sangue
…e Gesù pagò il prezzo della nostra libertà.


L’opale   
                                                              
Due amici, visitano una gioielleria, dopo aver visto dei diamanti e pietre preziose, l'uno dei due, mostra all'altro una strana pietra senza luce - Io non vedo alcuna bellezza in questa pietra -! Il suo amico, la prende nella mano e la tiene al caldo qualche minuto, riscaldandola col suo calore. Quando la mostra, con sorpresa, tutta la superficie risplende dei colori dell'arcobaleno. Com'è possibile questo? - Questa è un "opale" - essa, ha bisogno del calore della mano, per sprigionare tutta la sua bellezza. Ci sono nel mondo, tanti esseri perduti, imprigionati, che non attendano che il contatto di una mano, per poter tornare a brillare. Che sicurezza sapere che due mani si sono stese e sono state inchiodate per noi, a dimostrarci il grande amore del Padre. 


Le mani di Dio sono sopra tutti coloro che cercano il Suo nome.

Nel Suo abbraccio e nel Suo calore

la tua vita brillerà come le stelle del cielo sempiterno.
                                                                                                             (Daniele 12:3)

LUI ...ed io

In un tardo pomeriggio mentre passeggiavo lungo la riva di un lago, mi chiedevo perché erravo così solo nella vita. La tinta madre perlacea dell'acqua si stendeva fino ai piedi delle scuri montagne annebbiate dal controluce. Ma quella scena così naturale rendeva solo più amara la mia disperazione...
Dove stavo dunque andando? Perchè ero in vita? A cosa serviva quel bel paesaggio, se non riusciva a calmare la tristezza del mio cuore?
Poi vidi il sole come un disco di fuoco vicino alle montagne, un immenso raggio rosa scorreva sull'acqua calma; io ero lì fermo e osservavo. Quel raggio giungeva a me da così lontano... e mi toccava. Feci alcuni passi a sinistra... e mi seguì; andai un pò a destra... mi seguì pure. Un effetto ottico? Può darsi! Ma, poteva anche essere una rivelazione del grande Creatore "l'Altissimo", che è pari al fuoco consumante, ma che in Cristo si è velato d'umanità per farsi conoscere da me, a noi! Il suo amore è come un "Raggio", quasi un incredibile miracolo che può attraversare, gli abissi del nostro peccato e dell'orgoglio. Lasciati toccare, non sottrarti a tanto amore! Riconosci che in questo momento Egli t'è vicino! La sua luce ti apre una nuova speranza di vita che non sarà mai più solitaria .
Il saluto

Un prete diceva una sera al sacrestano della sua chiesa: "Hai notato quel vecchio mal vestito che, ogni giorno verso mezzogiorno, entra in chiesa e ne esce quasi subito? Lo sto sorvegliando dalla finestra del presbiterio. Questo mi preoccupa un po', perché nella chiesa ci sono oggetti di valore. Vedi di interrogarlo".
A partire dal giorno seguente il sacrestano attese il nostro visitatore e l'abbordò: Amico, che cosa le prende di venire ogni giorno a quest'ora in chiesa?", "Vengo a pregare", disse con calma l'uomo anziano.
"Andiamo, non ci rimane abbastanza a lungo per pregare. Non fa altro che andare fino all'altare e poi torna indietro.."
"E' vero - rispose il povero vecchio- io non so fare una preghiera lunga; allora vengo ogni giorno e gli dico semplicemente:<<Ciao, Gesù... sono Simone..>>, è una preghiera breve, ma sento che Egli mi ascolta".
Poco tempo dopo il vecchio Simone fu investito da un autocarro e curato all'ospedale. "lei ha sempre un'aria felice, nonostante le sue disgrazie…"- gli disse un giorno un'infermiera.
- Come non lo dovrei essere? Lei deve sapere… è a causa del mio visitatore..
- Il suo visitatore?- riprese l'infermiera stupita- Non ne vedo mai. E quando viene?
- Tutti i giorni a mezzogiorno, rimane qui ai piedi del mio letto e mi dice "Ciao, Simone...sono Gesù!"
Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi..

Ecco io sto alla porta e busso;
se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta,
io entrerò e cenerò con lui ed egli con me.
(Giacomo 4:8; Apocalisse 3:20)   


Un equivoco
 
Un uomo su un aereo di linea stava leggendo pacificamente il suo Nuovo Testamento tascabile.

Un uomo seduto a fianco a lui lo osservava e alla fine gli disse: 
"Io non sono molto religioso, anzi ...
 non vedo il senso di credere in un Cristo che per giunta è morto 2000 anni fa."

"Cosa? rispose meravigliatissimo... 
"Cristo-morto? Non può essere! 
Pensa che ci stavo parlando proprio alcuni minuti fa!"

 Due sassolini
 
Nel letto di un fiume due sassolini brillavano baciati dai raggi del sole. Erano splendidi, di un azzurro delicatissimo, trasparenti e allo stesso tempo profondi. L’acqua del fiume scorrendo li accarezzava dolcemente, levigandone le superficie. I due sassolini erano ammirati dagli altri sassi che, di varie forme, dimensioni e colori, pure giacevano nel fiume. I sassolini si guardavano l’un l’altro e si compiacevano vicendevolmente per la loro bellezza e, spesso si ritrovavano a fantasticare su che ruolo avrebbero ricoperto un giorno, quando l’uomo li avrebbe ripescati dal fiume. Forse sarebbero stati adoperati per adornare la corona di una regina, o l’anello di un re; sicuramente e senza alcun dubbio, sarebbero stati destinati a qualcosa di prezioso… Passò del tempo e arrivò il giorno in cui anch’essi vennero ripescati con l’altra ghiaia per poter essere usati. I sassolini erano emozionantissimi, non vedevano l’ora di scoprire in quale nobile modo sarebbero stati impiegati.
Quale grande delusione fu la loro quando insieme ad altri si ritrovarono cementati e posti su di un muro!
I due sassolini non potevano credere di aver fatto una fine tanto ingloriosa, non potevano proprio accettare quello stato di cose tanto misero ed umiliante. Trovando la cosa ingiusta, inaccettabile, di comune accordo, iniziarono a muoversi un po’ di qua e un po’ di là, all’inizio fu difficile ma, alla fine, con un piccolo movimento quotidiano riuscirono a liberarsi dal cemento che li teneva prigionieri e finalmente liberi caddero giù dal muro e si riprovarono a terra.
Quale grande sorpresa fu la loro quando guardarono il muro che avevano appena abbandonato!
Su quel muro c’era uno splendido mosaico raffigurante il Volto di Gesù e, solo allora si resero conto del sublime compito che essi inconsapevolmente ricoprivano, loro era infatti l’onore di essere i dolci, delicati, trasparenti e profondi occhi di Nostro Signore Gesù Cristo che con il suo amorevole sguardo è capace di toccare il cuore di ogni Sua creatura.
Ognuno di noi ha un posto da ricoprire nel Disegno del Creatore,                                            il più piccolo ed umile sarà prezioso ed insostituibile agli occhi del Signore,                       ogni giorno con la nostra vita ci è data la Grazia di partecipare al Suo Progetto.
Tempesta in alto mare

Una sera in una chiesa , il sacerdote prima di predicare volle introdurre il suo ospite alla assemblea dicendo che l’ospite era un suo carissimo vecchio amico, che lo conosceva fin da quando era giovane, e ora gli dava l’opportunità di dire qualcosa. Il vecchio si fece avanti sul pulpito e cominciò a dire: "Un giorno, un padre insieme al suo giovane figlio e un amico del suo figlio, si misero in una grossa barca per navigare nella costa del mare pacifico; quando si avvidero che una brutta e grande tempesta andava contro di loro e che bloccava loro di ritornare alla riva. Le onde erano tanto alte che il vecchio pur essendo abbastanza esperto del mare, non riusciva a mantenere la barca in piedi, talché una forte onda arrivata sulla barca si portò via nel mare tutti e tre le persone, e inclinò la barca, ma il padre era riuscito ad acchiapparsi al rotolo della corda di salvezza. A questo punto il vecchio fa una pausa di pochi secondi, mentre con gli occhi guardava in faccia a due giovani seduti nei primi banchi della chiesa, cui parevano interessati del racconto. Poi disse: Quel padre che era aggrappato alla corda, aveva solo pochi secondi per fare la più grande decisione della sua vita, che consisteva a chi doveva tirare il resto della corda di salvezza, a suo figlio, oppure all’amico di suo figlio. Or sapendo egli, che suo figlio era un salvato per grazia che apparteneva a Cristo; e sapendo pure che l’amico di suo figlio non conosceva Gesù Cristo, nell’agonia della decisione e sotto un torrente di onde maree, gridò al figlio dicendo: "figlio mio quanto ti voglio bene; arrivederci", e gli dette l’Addio; mentre tirò la corda di salvezza al suo amico che non conosceva Cristo, e questi due riuscirono a scampare la morte, mentre, il figlio di quel padre spari nel buio sotto le onde della tempesta. Poi il vecchio aggiunse: Quel padre sapeva che suo figlio sarebbe finito con Cristo nella gioia della vita eterna, ma non poteva portare con sé il pensiero che l’amico di suo figlio sarebbe finito nel regno delle tenebre, lontano da Cristo. Perciò sacrificò il figlio, per salvare il suo amico. Poi concluse dicendo all’assemblea: "Se qualcuno vi tira la corda della salvezza afferratela, affinché scampiate dalla morte eterna"; e se ne andò a sedere, mentre un profondo silenzio aveva riempito la chiesa. Il sacerdote poi, andò sul pulpito predicò il suo messaggio, e alla fine chiuse la funzione. I due giovani a loro volta si avvicinarono al vecchio e gli dissero: "La storia che hai raccontata è stupenda, ma noi non crediamo che sia vera e realistica; per un padre di dare alla morte il suo proprio figlio per la speranza di salvare l’amico dalla morte". Il vecchio, mirando la sua vecchia Bibbia che aveva in mano, rispose: "Voi avete espresso il vostro punto di vista", poi disse loro: "Dite voi che non è mica una storia vera?" A me invece mi fa capire quanto sia stato penoso per il Padre celeste, di dare suo Figlio alla morte per salvare me peccatore. Oltre a ciò vi dico, che io sono quel padre che lasciai mio figlio nelle mani della morte, e il vostro Parroco è quell’amico di mio figlio…
La Madonna col Bambino 

Gesù fra le braccia, aveva deciso di scendere in Terra per visitare un monastero. Orgogliosi, tutti i monaci si misero in una lunga fila, presentandosi ciascuno davanti alla Vergine per renderle omaggio.
Uno declamò alcune poesie, un altro le mostrò le miniature che aveva preparato per la Bibbia e un terzo recitò i nomi d tutti i santi.
E così via, un monaco dopo l'altro, tutti resero omaggio alla Madonna e al Bambino.
All' ultimo posto della fila ne rimase uno, il monaco più umile del convento, che non aveva mai studiato i sacri testi dell'epoca.
I suoi genitori erano persone semplici, che lavoravano in un vecchio circo dei dintorni, e gli avevano insegnato soltanto a far volteggiare le palline in aria.
Quando giunse il suo turno, gli altri monaci volevano concludere l'omaggio perchè il povero acrobata non aveva nulla d importante da dire e avrebbe potuto sminuire l'immagine del convento.
Ma anche lui, nel profondo del proprio cuore, sentiva un bisogno immenso di offrire qualcosa a Gesù e alla Vergine.
Pieno d vergogna, sentendosi oggetto degli sguardi di riprovazione dei confratelli, tirò fuori dalla tasca alcune arance e cominciò a farle volteggiare: perchè era l'unica cosa che egli sapesse fare.
Fu solo in quell'istante che Gesù Bambino sorrise e cominciò a battere le mani in braccio alla Madonna. E fu verso quel monaco che la Vergine tese le braccia, lasciandogli tenere per un po’ il Bambinello.
Una collana di perle

Una bimba di 5 anni al mercato con la mamma vede una collana di perle.
"Me la compri mamma, me la compri?"
La madre rispose: "Dovrai fare lavoretti in casa, ti pagherò e quando avrai abbastanza dollari la comprerai."
Ha lavorato e aspettato con ansia, e grande fu la sua gioia di avere quella collana di perle. La madre la avverti di non bagnarla altrimenti avrebbe cambiato colore.
La bambina aveva un padre amorevole e ogni sera abbandonava tutto per leggere una storiella mentre lei andava a letto a dormire.
Una notte dopo avere letto la storia chiese alla bambina, "Mi ami?" "Sì papa’, tu lo sai che ti amo!" "Allora dammi la tua collana di perle, "
"No papa’ non le perle, prenditi il cavallo con la coda rosa che mi hai regalato tu, è il mio favorito."
"Non ti preoccupare tesoro, papà ti ama, buonanotte." E le diede un bacio.
Una settimana dopo il papà dopo aver letto la storia richiede alla bambina. "Mi ami?" "Sì papà, tu lo sai che ti amo!" "Allora dammi la tua collana di perle, "
"No papà. le perle no, ma ti puoi prendere la mia bambola che ho ricevuta come regalo per il mio compleanno, con tutti i vestiti."
"Non importa, dormi bene, Dio ti benedica piccolina. Papà ti ama." E la lasciò con un bacio.
Alcune notti dopo, quando suo padre entrò trovò la bambina seduta sul letto; suo padre notò che tremava e una lacrima scorreva sul suo viso.
"Cosa c’è? Perché piangi?"
La bambina non disse nulla, alzò la sua manina verso suo padre. Quando l’aprì c’era una collana di perle, e finalmente disse, " Tieni papà, è per te."
Con lacrime che si preparavano negli occhi, il padre prese la collana di perle false con una mano, mentre con l'altra tirò fuori dalla tasca una collana di perle vere per darle alla sua bambina.
L’aveva lì da tanto tempo, aspettava che lei gli desse le perle false che tanto amava prima di darle le perle vere.
Così è Gesù il nostro Padre Celeste, aspetta che ci liberiamo dalle cose cui siamo attaccati nella vita, per darci un tesoro ancora più prezioso.

Nella capanna del presepe

Era il 27 dicembre e subito dopo la santa messa la gente si scambiava gli auguri del Natale appena passato.
Salutandosi e abbracciandosi calorosamente, tra una chiacchiera e l’altra, a gruppetti se ne stavano sulle gradinate dell’ingresso della chiesa oppure nella piazza adiacente.
Una piccola folla, circa venti persone in tutto, si era anche riunita di fronte al presepe allestito dalla parrocchia e con stupore e disappunto commentava quanto poteva ammirare.
Ovviamente, i commenti della gente non si riferivano solamente al presepe in sé, una composizione semplice e tradizionale che da svariati anni veniva riproposta, pressoché immutata, in occasione delle festività natalizie.
Una capanna in paglia e bambù al centro e svariate sagome di carton-gesso sistemate al suo interno oppure sparpagliate tutt’attorno.
All’esterno se ne stavano quindi una mezza dozzina di pastori, alcuni in piedi con il volto rivolto alla capanna, altri intenti a seguire il gregge di pecore finte di che pascolava attorno immerse nella rada vegetazione.
Dirimpetto alla costruzione di bambù, in mistica contemplazione, i tre re magi nelle loro vesti esotiche dai colori sgargianti.
 Mentre a terra, di fronte ai tre, i doni che portavano facevano bella mostra di sé sul selciato e sul finto terreno creato per l’occasione.
Ma era a ciò che stava all’interno della capanna che la gente di Trebaseleghe indirizzava i propri commenti. 
E critiche, soprattutto.
Non tanto per la resa dell’asinello e del bue, animali ricostruiti con discreta fedeltà e dall’aria innocua e sonnacchiosa. 
E nemmeno per le sagome di San Giuseppe o della Madonna, due figure semplici e dal volto gioioso in sobrie vesti dai colori tenui: azzurro e marrone per il patrono dei lavoratori, mentre una tunica rosa e bianca definiva la beata Vergine Maria.
Neppure criticavano la resa del bambin Gesù, un frugoletto tutto rosa con le braccia protese in avanti in un gesto di apertura e dono al mondo.
Niente di tutto ciò. 
La gente non aveva nulla da obbiettare sulla resa scenica del presepe, tuttavia era irritata per l’uomo che dormiva nel capanno.
Gli abiti trasandati, la barba incolta e i capelli lunghi: non c’erano dubbi che si trattasse di un vagabondo.
“Che indecenza!”
“Qualcuno dovrebbe svegliarlo e dirgli di andarsene a dormire altrove!”
“Ma come gli è venuto in mente di mettersi a dormire lì dentro?”
Per un poco i paesani rimasero a confabulare tra di loro mentre l’altro ronfava pacificamente ignaro delle loro disapprovazione.
Poi, quando l’indignazione raggiunse il limite del tollerabile, due uomini scavalcarono le transenne e raggiunsero il bell’addormentato. 
Con  uno scossone, ma cercando di essere delicati, lo chiamarono.
Subito l’uomo aprì gli occhi; istintivamente si mosse per evitare il contatto dei due, temendo volessero aggredirlo o derubarlo di quel poco che aveva.
Immobile e un po’ spaventato per il brusco risveglio li osservava cercando di capire cosa volessero da lui.
Dopotutto, lo sapeva bene, non stava facendo nulla di male.
“Scusaci, non volevamo spaventarti” iniziò uno dei due, un tizio sulla quarantina e con un accenno di barba sul mento “…però non va bene che tu dorma qui dentro…”
Il vagabondo continuava ad osservarli in silenzio.
“…se potessi andare da un’altra parte sarebbe meglio, sai?”
“Questa notte faceva freddo…” cominciò a giustificarsi il barbone, un uomo sulla cinquantina dall’aspetto trascurato e dall’espressione triste di chi ha perso tutto ormai.
“Lo so, lo so…però in ogni caso è un presepe questo, non un ricovero per vagabondi!”
“Ma…non sto facendo niente di male…” rispose lui dopo essersi schiarito la voce con un paio di colpi di tosse.
“Tranquillo, ho capito cosa vuoi dire” disse il primo uomo lanciando uno sguardo di disapprovazione al suo compagno “e di certo non siamo qui per punirti o multarti. Semplicemente vorremmo che te ne andassi da qui e che alla notte non dormissi dentro a questa capanna. Dopotutto è un presepe e c’è molta gente che si ferma ad osservarlo…non è il caso quindi che veda…”
“Me?” suggerì l’altro.
“Esatto. Per cui alzati subito e…”
“Non occorre essere così sgarbati…però ecco“ nuovamente la voce del primo uomo a mediare tra il vagabondo e il suo secondo “ quel che vuol dire Antonio è che se puoi andartene da qui sarebbe meglio per tutti. È Natale dopotutto e nessuno vuole litigare.”
“Ho capito, ho capito…datemi un attimo…raccolgo le mie cose e me ne vado…però…”
“Cosa?” l’irritazione di Antonio era più che manifesta nel tono della sua voce, un tizio schietto e con evidente propensione all’aggressività nonostante i fisico minuto e asciutto.
“Beh…la notte fa freddo…e io non ho di dove andare…per cui…”
“Potevi pensarci prima di ridurti così”
Il vagabondo abbassò lo sguardo. 
Umiliato. 
Si rigirò il cappello tra le mani e poi se lo mise in testa.
“Hai ragione…ma il passato non lo posso cambiare”. 
“Se sei diventato un vagabondo di certo non è per colpa mia o di chissà chi.
Potevi pensarci prima e impegnarti un po’ di più e combinare qualcosa nella vita.”
L’altro ammutolì e lo fissò con i suoi occhi grigi. Probabilmente voleva dirgliene quattro, fargli capire che non aveva il diritto, nessun diritto, di trattarlo così.
Ma si trattenne.
Non l’avrebbe avuta vinta con quel tipo.
Il fatto che fosse un periodo di festa e che da poco fosse passato Natale non aveva certamente reso il suo cuore più docile e aperto al prossimo.
Per un poco rimasero in silenzio.
Vicino a loro, sulla sinistra, le sagome della sacra famiglia e del piccolo Gesù venuto al mondo per salvare tutta l’umanità, per diffondere un messaggio di pace e amore universale.
Ma, forse, quel messaggio ancora non era stato ben recepito.
Nemmeno da chi si professava cristiano e se ne stava di fronte al presepe e non vedeva nient’altro che un intruso laddove non avrebbe dovuto esserci niente.
Né una sagoma di cartone, né alcunché a sbilanciare l’equilibrio della composizione.
“Basta basta, stiamo offrendo uno spettacolo indecente” nuovamente il primo uomo che ora iniziava a dare segni di disagio “è meglio per tutti se ora ti alzi e ti allontani dal presepe…”
“Già…” sottolineò Antonio. 
“Ho capito” il vagabondo si era arreso.
Raccattò le proprie cose, un fagotto e dei giornali che aveva usato per coprirsi un poco, e uscì dal capanno.
Solo in quel momento si accorse che tutti li stavano guardando, una ventina circa di persone che non aspettavano altro che averla vinta su quel povero derelitto umano.
Osservò i volti di quella gente per un istante appena ma non vi lesse granchè in termini di compassione o disponibilità verso il prossimo.
Anzi, i loro sguardi lasciavano intuire che sarebbe stato meglio per tutti se si levava dai piedi il prima possibile.
Questo lo amareggiò oltremodo.
Prima di andarsene il vagabondo tossì e si volse nuovamente ai due uomini che, sulla soglia del capanno, lo stavano osservando mentre si allontanava.
“Magari un piccolo compromesso lo si potrebbe anche fare…”
“È meglio di no…al massimo…chiedi in parrocchia: un aiuto i preti forse te lo possono anche dare…”
“Ho capito” l’uomo era ormai rassegnato “…tolgo il disturbo allora…”
“Buon Natale a tutti!” augurò mentre se ne andava dalla piazza e a attraversava la strada in direzione del cinema locale situato a circa quindici metri in linea d’aria. 
Qualcuno rispose al suo augurio, qualcun altro nemmeno lo considerò.
“Non c’è più religione…” commentò più d’uno “…dormire in un presepe…ma come si fa?”
Scuotendo il capo, lo osservarono attraversare la piazza.
Poi, visto che quell’uomo se n’era finalmente andato tutti potevano nuovamente tornare a contemplare quel semplice presepe, l’immagine del miracolo divino che era alla base della loro fede e del Natale appena passato.
Qualche istante appena, il sollievo di aver ristabilito l’ordine, e quindi il chiacchiericcio tipico della gente che discute del più e del meno, che accenna a questo o a quell’altro regalo ricevuto o a come trascorrere le feste.
Dall’altro lato della strada, nei pressi di una delle cabine telefoniche che stavano sull’ampio marciapiede vicino al cinema di Trebaseleghe, il vagabondo sedeva pensieroso. Sparpagliate a terra stavano le sue cose.
Osservava la piccola folla e i suoi occhi, antichi come il tempo, di un colore grigio opaco, apparivano infinitamente tristi.
Aveva sperato che le cose andassero diversamente, che qualcuno gli offrisse ospitalità, un aiuto, qualche moneta…
Si trovava dentro ad un presepe dopotutto, vicino all’effige di suo Figlio, vicino a quel simbolo di amore universale che sperava l’umanità avesse imparato a praticare.
E invece niente.
“Che ti aspettavi?” gli chiese un uomo di bell’aspetto che, spuntato chissà da dove, se ne stava in piedi al suo fianco.
Indossava un lungo soprabito in pelle scura sopra abiti costosi ed eleganti. Aveva i capelli pettinati all’indietro, un bel viso e una barba appena accennata; armeggiava con l’accendino per accendersi una sigaretta.
Finalmente la accese e sbuffò fuori il fumo con calma.
“Speravi che ti accogliessero a braccia aperte? Che ti invitassero a pranzare a casa di uno di loro? Che ti offrissero ospitalità?”
Il vagabondo si volse nella sua direzione, lo osservò per un istante e poi, come se quelle domande non lo riguardassero più di tanto, tornò a guardare in direzione della piazza. 
Era profondamente deluso.
“Ripeti questo gioco ogni Natale…e per cosa? Solo per constatare quanto aumenti, di anno in anno, il loro egoismo?”
L’uomo indicò quelli che stavano nei pressi del presepe, ora aumentati in numero per via delle persone che, appena uscite dalla chiesa, si erano spostate ad ammirare la rappresentazione della sacra famiglia e della nascita di Gesù.
“Guardali. In apparenza sono tutti rilassati, gioiosi, felici direi…Sanno che è Natale, che si deve essere tutti più buoni…però…non appena trovano un barbone che dorme dove non dovrebbe…eh…” si interruppe un istante per espirare fuori il fumo “…lo cacciano via senza pensarci due volte.”
Il vagabondo si alzò in piedi mentre continuava ad ascoltarlo.
“Uomini. Egoisti come al solito, ipocriti e ottusi. Dimmi un po’, visto che li hai creati a tua immagine e somiglianza, come mai sono venuti fuori così irriconoscenti verso il loro creatore?”
“Basta Lu, non ho voglia di discutere di queste cose. Lo sai come sono fatto: continuerò a cercarli. Per sempre…”
“Inutilmente. E lo sai”.
“Cosa ne sai tu?”
“Io lo so eccome. E poi li conosco molto bene. Guardali: non è servito a niente parlare a loro né tanto meno inviare tuo Figlio al martirio. Sono così chiusi in se stessi, incapaci di comprendere la grandezza del tuo operato. Sono creature meschine, che non meritano il tuo amore, la tua pazienza. Non l’hai ancora capito che non ti vogliono?”
“E tu non c’entri nulla, vero? Non sei forse tu che ti adoperi così tanto per tentarli e per allontanarli da me?”
Lucifero sorrise. 
Si aspettava quell’obiezione.
“Io do loro solo una spinta, gli mostro ciò che possono desiderare e avere…e loro cedono e seguono la strada che li allontana a te. E questo non dimostra ancor di più che non ti sono fedeli minimamente? Che non ti sono riconoscenti? Che non ti cercano più? Questa gente è capace di ignorare persino i bambini o le ragazze incinte che chiedono l’elemosina agli angoli delle strade!”
“Basta! Questi discorsi non mi piacciono affatto. Lo sai: io li amo. Incondizionatamente. Così come ho sempre amato tutte le creature che ho generato. Tutte allo stesso modo.”
“Non è vero!” a quell’affermazione l’uomo si scaldò subito, gettò a terra la sigaretta e prese a ribattere concitatamente. 
“A loro hai concesso molto più che a noi angeli! Li prediligi a tutto il resto! E questo non è giusto! Non è giusto, mi hai sentito? Loro, loro non meritano nulla. Nulla! Forse ancora non te ne rendi conto ma io te lo farò capire prima o poi! E allora realizzerai quanto è stolto il tuo amore per loro! Anche ora ne hai la prova: nessuno di loro ti ha offerto aiuto. Nessuno! Neanche una parola di compassione! Non ti hanno nemmeno riconosciuto! E tu, tu persino ti lasci trattare come un pezzente! Dannazione! Non hai nemmeno fatto niente per cambiare questo loro modo di agire. Sono egoisti, e ciechi e incapaci…”
“Ho concesso loro la libertà. Per questo non ho influenzato il loro volere” rivelò l’Onnipotente. 
Lucifero prima si zittì e poi rise sonoramente.
“Cosa c’è da ridere?” chiese Dio che quel giorno vestiva i panni di un semplice barbone dagli occhi stanchi.
“Hai concesso loro una libertà che li allontana da te e lo stesso pretendi che ti cerchino? Non li conosci proprio…non ti cercheranno mai più…ancora non hai capito di che pasta sono fatti questi inutili esseri umani?”
“Signore?”
Una voce estranea, pura, interruppe i discorsi dei due eterni antagonisti.
Entrambi si voltarono verso la bimba che aveva attirato la loro attenzione distogliendoli dalla loro eterna diatriba. 
Era una bimba dai capelli castano scuro, minuta, con grandi occhiali a nascondere due profondi occhi azzurri. Poco più in là le sue giovani amiche stavano mangiando delle paste o delle pizzette calde. Probabilmente le avevano appena comperate in una delle pasticcerie che stavano ai lati della piazza del paese.
E anche la bimba che si era rivolta al barbone aveva qualcosa in mano: un trancio di pizza margherita ancora caldo e fumante.
“Dimmi, Anna” le rispose il vagabondo, sorridendole e accovacciandosi di fronte a lei.
“Come fai a conoscere il mio nome?” chiese stupita la bambina.
L’altro sorrideva e una luce calma e rassicurante irradiava dal suo volto.
“Oh, beh…io so molte cose…”
La bimba non parve molto convinta ma ugualmente cercò di portare avanti i suoi propositi nei confronti di quell’uomo povero e solo.
“Uhm…sai…prima ti ho visto dentro al presepe…e…ecco…pensavo che potessi avere fame…”
“Sbrigati Anna” la chiamarono le sue amichette mentre, alle spalle del vecchio, l’altro uomo appariva visibilmente innervosito da quel che stava accadendo.
“Arrivo” promise la bimba mentre armeggiava per spezzare il trancio di pizza che teneva in mano. 
Ne porse un pezzo al vagabondo.
“Tieni. Mamma dice che si deve sempre aiutare chi sta peggio di noi…spero ti piaccia la pizza…”
L’uomo era commosso e osservava con espressione gioiosa il dono a lui concesso da quella bimba.
“Ora devo andare, però. Stammi bene signore!”
In un attimo raggiunse le sue amichette mentre Dio rimaneva ad osservarla: era raggiante.
Mangiò la pizza più buona che avesse mai assaggiato, non tanto per l’abilità del cuoco che l’aveva sfornata ma per l’affetto ed il calore che Anna gli aveva offerto.
Poi si volse verso Lucifero e, sorridendo, gli chiese: “Hai visto? C’è sempre speranza!”
“Cosa c’è di così straordinario! È solo una stupida mocciosa! Una, una soltanto! Perché ti commuovi tanto, vecchio stupido?”
Era visibilmente alterato e incapace di tollerare oltre quella situazione.
Per questo si girò e se ne andò camminando spedito. 
“Non finisce qui! Ci rivedremo!” minacciò rabbioso.
Pochi passi dopo il diavolo in persona urtava una coppia di neo sposi che camminavano appaiati. 
“Levatevi di mezzo voi!”
I due si spostarono e, perplessi, si chiesero che cosa avesse quel tizio da arrabbiarsi tanto.
Al che il barbone che incontrarono giusto qualche metro più avanti rispose d’istinto:     “Oh, lasciatelo perdere: è fatto così. È un po’ irritabile di suo, un po’ ribelle direi. Ma, in fondo…”
Per un attimo si interruppe e sospirò mentre osservava quel suo figliol prodigo allontanarsi irrequieto e poi scomparire.
“…ma in fondo è un bravo ragazzo. Io lo conosco bene”
I due non compresero molto bene ma non diedero peso alla cosa. Avevano altro a cui pensare. Poco dopo attraversarono la strada e quindi la piazza. 
Uno sguardo appena al presepe allestito dalla parrocchia e poi proseguirono fino all’auto parcheggiata poco più avanti.
Quando salirono osservarono al di là della piazza ma del barbone non c’era più traccia.

La leggenda del Pettirosso ( di Selma Lagerlof)


Era in quel tempo, quando Nostro Signore creò il mondo, quando creò non soltanto il cielo e la terra, ma anche tutti gli animali e le piante, e in pari tempo distribuì i nomi. Esistono molte storie di quel tempo, e  se  si  sapessero tutte avremmo anche la spiegazione di tutte le cose del mondo che ora non si possono comprendere.
Fu allora che un giorno, mentre Nostro Signore stava a sedere in Paradiso a dipingere gli uccelli, venne a mancare il colore sulla tavolozza, così che il picchio sarebbe rimasto senza colore se Egli non avesse ri­pulito tutti i pennelli sulle sue penne.
E fu allora che l'asino acquistò le sue orecchie lunghe, perché non si ricordava il nome che aveva ricevuto. Lo dimen­ticò appena ebbe fatto alcuni passi sui prati del Paradiso e tornò  indietro tre volte a domandare come si chiamava, finché Nostro Signore s'impazientì un pochino e prendendolo per le orecchie disse: « Il tuo nome è asino, asino, asino ».
E nel dirlo gli allungò le orecchie perché gli venisse l'udito migliore e ricordasse quello che gli si diceva.
Fu nello stesso giorno che l'ape fu punita. Perché appena fu creata incominciò a raccogliere miele, e gli animali e gli uomini, che si accorsero del dolce profumo del miele, vennero ad assaggiarlo. Ma l'ape voleva conservare tutto per sé e con le sue punture velenose scacciava tutti quelli che si avvicina­vano all'alveare. Nostro Signore vide e chiamò a sé l'ape e la punì.
« Io ti ho dato la facoltà di raccogliere il miele che è ciò che la creazione ha di più dolce, » disse Nostro Signore « ma non per questo ti ho dato il diritto d'essere cattiva col tuo prossimo.
 E ora ricordati: ogni volta che pungerai qualcuno che vorrà assaggiare il tuo miele, tu morrai! »
Già, fu allora che il grillo divenne cieco e la formica perse le sue ali; accaddero tante cose straordinarie in quel giorno. 
Nostro Signore, grande e mite, era seduto tutto il giorno a creare e a formare, e verso sera gli venne in mente di creare un piccolo uccello grigio.
« Ricordati che il tuo nome è pettirosso! » disse Nostro Signore all'uccello quando fu pronto. Lo depose sulla palma della sua mano e lo fece volare.
Ma dopo che l'uccello ebbe fatto un piccolo volo ed ebbe ammirato la bella terra sulla quale doveva vivere, gli venne voglia di mirarsi. Allora vide che era tutto grigio, il petto come tutto il resto. Il pettirosso si voltò e rivoltò rispecchiandosi nell'acqua, ma non poté scoprire nep­pure una penna rossa.
E così l' uccello rivolò da Nostro Signore.
Egli, grande e mite, era a sedere, e dalle sue mani uscivano farfalle che svolazzavano intorno alla sua testa, piccioni garrivano sulle sue spalle, e dalla terra intorno a lui sorgevano rose, gigli e pratoline.
Il cuore dell'uccellino batteva per il timore, ma iscrivendo leggeri giri volava sempre più vicino a Nostro Signore e finalmente si lasciò cadere sulla sua mano.
Così Nostro Signore gli domandò quello che desiderava.
 « Io voglio soltanto chiederti una cosa » disse l'uccellino.
 « Cos'è che desideri sapere? » disse , Nostro Signore.
« Perché debbo chiamarmi pettirosso, mentre sono tutto grigio dalla punta del becco sino alla coda? Perché mi chiamo pettirosso quando non posseggo neppure una penna rossa? »
E l'uccello con i suoi occhietti neri lo guardò implorando e voltò la testolina. Da per tutto, attorno, vide fagiani tutti rossi sotto un leggero pulviscolo d'oro, pappagalli con ricchi collari rossi, galli con creste rosse, senza parlare delle farfalle, dei pesciolini rossi e delle rose. E naturalmente pensò che occorreva così poco, una sola goccia di colore rosso sul suo petto, per farlo diventare un bell'uccello, a cui il suo nome sarebbe stato adatto.
« Perché debbo chiamarmi pettirosso, se son tutto grigio? » domandò di nuovo l'uccello, e aspettò che Nostro Signore gli dicesse:
 "Ah, amico mio, vedo che ho dimenticato di dipingere in rosso le penne del tuo petto, ma aspetta solamente un momento e sarà fatto".
 Ma Egli sorrise soltanto e disse: « Ti ho chiamato pettirosso, e pettirosso ti chiamerai, ma cercati da te il mezzo di meritarti le tue penne rosse ».
E così Nostro Signore alzò la mano e lasciò che l'uccello rivolasse per il mondo.
L'uccello volò in Paradiso con molti pensieri. Che cosa poteva fare un uccellino come lui per procurarsi delle penne rosse? 
L'unica cosa che gli venisse in mente fu di fabbricarsi il nido in mezzo ai prunai. Egli s'annidò fra le spine nel folto della macchia. Pareva stesse aspettando che una foglia di rosa gli si attaccasse al petto e gli desse il suo colore.
Un numero infinito d'anni erano trascorsi da quel giorno che fu il più bello sulla terra. D'allora in poi gli animali e gli uomini avevano abbandonato il Paradiso e si erano sparsi sulla terra. E gli uomini erano giunti al punto d'imparare a lavorare la terra e a navigare sul mare, si erano fatti abiti e utensili; da molto tempo avevano già imparato a fabbricare grandi templi e città potenti, come Tebe, Roma e Gerusalemme.
Spuntò un giorno nuovo  che non doveva esser mai più dimenticato nella storia del mondo e all'alba di quel giorno il pettirosso era posato su un piccolo colle nudo fuori le mura di Gerusalemme e cantava per i suoi piccini che si trovavano nel piccolo nido in mezzo ai bassi cespugli di spine.
 L'uccello raccontava ai suoi nati il giorno me­raviglioso della creazione e la distribuzione dei nomi: così aveva raccontato ogni pettirosso dal primo in poi, che aveva udito la parola di Dio ed era uscito dalla Sua mano.
« E ora vedete, » concluse tristemente il pettirosso « tanti anni sono passati, tante rose sono sbocciate, tanti piccoli uccelli sono sgusciati dalle uova dal giorno della creazione in poi, che non c'è nessuno capace di contarli, ma il pettirosso è ancora un uccellino grigio. Ancora non è riuscito a conquistarsi le penne rosse. ». I piccini spalancarono i piccoli becchi e domandarono se gli antenati non avevano cercato di compiere qual­che grande opera per conquistare il prezioso colore.
« Abbiamo fatto tutto quello che abbiamo potuto, » disse l'uccellino « ma siamo stati tutti sfortunati. Già il primo petti­rosso, una volta, incontrò un altro uccello che gli rassomigliava completamente, e subito si mise ad amarlo con un amore così violento da sentirsi arroventare il petto. Ah, pensò allora, adesso comprendo. Nostro Signore vuole che io ami con tale ardore, che le penne del mio petto abbiano a tingersi di rosso per il caldo d'amore che ho nel cuore. Ma egli s'ingannava, così come si sono ingannati tutti gli altri dopo di lui e come c'inganneremo anche noi. »
I piccini cinguettarono tristemente, incominciavano già ad affliggersi perché la tinta rossa non avrebbe adornato i loro piccoli petti coperti di peluria.
« Abbiamo anche sperato nel nostro canto » disse l'uccello vecchio parlando con toni prolungati. « Già il primo pettirosso cantava così; il petto dall'entusiasmo gli si gonfiava, ed egli ritornava a sperare. Ah, pensava, la fiamma del canto che ho nell'anima, tingerà di rosso le penne del mio petto. Ma s’in­gannava, come si sono ingannati tutti gli altri dopo di lui, come c'inganneremo anche noi. »
Si sentì di nuovo un triste cinguettio uscir dalle gole mezze nude dei piccini.
« Abbiamo anche sperato nel nostro coraggio e valore » disse l'uccello.
« Già il primo pettirosso si batté valorosamente con gli altri uccelli e il suo petto s'infiammò dal piacere di combattere. Ah, pensò, le penne del mio petto si tingeranno di rosso per la gioia della lotta che arde nel mio cuore. Ma s'ingannò, come si sono ingannati dopo di lui tutti gli altri, come c'inganneremo anche noi. »
I piccini cinguettarono coraggiosamente che volevano an­cora tentare di conquistare il premio tanto ambito,   ma l'uccello rispose tristemente che era impossibile. Che cosa potevano sperare quando tanti antenati così bravi non erano riusciti a raggiungere la meta? Potevano fare di più che amare, cantare e lottare? Che cosa potevano...
L'uccello si fermò in mezzo alla frase, perché da una delle porte di Gerusalemme usciva una gran quantità di gente e tutta la folla si dirigeva verso il colle dove l'uccello aveva il suo nido.
C'erano dei cavalieri su destrieri superbi, servi con lunghe lance, assistenti del boia  con chiodi e martelli, v’erano sacerdoti dall’incedere dignitoso, e giudici, donne piangenti, e davanti a tutti  una massa di popolo che correva selvaggiamente, un accompagnamento orrendo, ululante di vagabondi. 
L'uccellino tremando stava sull'orlo del suo nido. 
Temeva ad ogni istante che il piccolo cespuglio di spine venisse calpestato e i suoi piccini rimanessero uccisi.
« State in guardia, » gridò ai piccini inermi « state tutti vicini e state zitti! Ecco un cavallo che viene proprio su di noi! Ecco un guerriero coi sandali ferrati!  Ecco tutta la folla selvaggia! »
Ad un tratto l'uccello smise di gettare i suoi gridi d'allarme e tacque. Dimenticò quasi il pericolo sovrastante.
Improvvisamente saltò giù nel nido, e allargò le ali sopra ai piccini.
« No, è troppo tremendo » disse.
 « Io non voglio che voi vediate. Sono tre malfattori che vengono crocifissi. »
E allargò le ali affinché i piccini nulla potessero vedere. Udirono soltanto dei colpi di martello rimbombanti, grida di dolore e gli urli selvaggi della folla.
Il pettirosso seguì tutto lo spettacolo con gli occhi che si dilatavano dal terrore. Non poteva allontanare gli sguardi dai tre infelici.
« Come gli uomini sono crudeli! » disse l'uccello dopo un momento « non si accontentano d'inchiodare quei poveretti sulle croci, no, sulla testa di uno hanno anche posto una corona di spine. Io vedo che le spine hanno ferito la sua fronte così da fare scorrere il sangue » continuò. « E quell'uomo è così bello e si guarda attorno con sguardi così dolci che ognu­no deve sentire d'amarlo. Mi pare che una freccia mi stia tra­figgendo il cuore nel vederlo soffrire. »
Il piccolo uccello sen­tiva crescere la sua compassione per l'incoronato di spine.
« Se io fossi mia sorella l'aquila, » pensò « strapperei i chiodi dalle sue mani e con i miei forti artigli scaccerei tutti coloro che lo fanno soffrire.»
    Egli vide il sangue gocciolare sulla fronte del Crocifisso e non poté stare fermo nel suo nido.
    « Benché non sia che piccolo e debole, pure debbo poter fare qualche cosa per questo povero martoriato » pensò l’uccello: e allargò le ali e volò via per l’aria, descrivendo larghi giri intorno al Crocifisso.
    Gli volò intorno parecchie volte senza ardire d’avvicinarsi, perché era un uccellino timido, che non aveva mai osato avvicinarsi ad un uomo. Ma un po’ per volta si fece coraggio, volò molto vicino e col becco tolse una spina che si era piantata nella fronte del Crocifisso.
    In quel momento una goccia di sangue del Crocifisso cadde sul petto dell’uccello. Si allargò rapidamente, colò giù e tinse tutte le penne delicate del petto. Ma il Crocifisso aperse le labbra e sussurrò all’uccello:     « Per la tua pietà ora avrai quello che la tua razza ha desiderato sempre da quando fu creato il mondo ».
    Poco dopo, quando l’uccello ritornò al suo nido, i piccini gridarono: « Il tuo petto è rosso, le penne del tuo petto sono più  rosse delle rose! » 
« Non è che una goccia di sangue della fronte di quel pover’uomo » disse l’uccello. «Scomparirà, appena farò il bagno in un ruscello o in una limpida sorgente. »
Ma quando l’uccellino fece il bagno la macchia rossa non scomparve dal suo petto, e quando i suoi piccini divennero grandi, la tinta rossa splendeva anche sulle penne dei loro petti, come d’allora in poi splende sul petto e sulla gola di ogni pettirosso.
Racconto di Natale        (di Dino Buzzati)
  
Tetro e ogivale è l'antico palazzo dei vescovi, stillante salnitro dai muri, rimanerci è un supplizio nelle notti d'inverno.
E l'adiacente cattedrale è immensa, a girarla tutta non basta una vita, e c'è un tale intrico di cappelle e sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono rimaste alcune pressoché inesplorate.
Che farà la sera di Natale - ci si domanda – lo scarno arcivescovo tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà vincere la malinconia?
Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e Pinocchio, la sorellina ha la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il malato una nuova speranza, il vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, il carcerato la voce di un altro dalla cella vicina.
Come farà l'arcivescovo?
Sorrideva lo zelante don Valentino, segretario di sua eccellenza, udendo la gente parlare così.
L'arcivescovo ha Dio, la sera di Natale.
Inginocchiato solo soletto nel mezzo della cattedrale gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi far pena, e invece se si sapesse!
Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né si sente abbandonato.
Nella sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per l'arcivescovo, le navate ne rigurgitano letteralmente, al punto che le porte stentano a chiudersi; e, pur mancando le stufe, fa così caldo che le vecchie bisce bianche si risvegliano nei sepolcri degli storici abati e salgono dagli sfiatatoi dei sotterranei sporgendo gentilmente la testa dalle balaustre dei confessionali.
Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio.
E benché sapesse che non gli competeva, don Valentino si tratteneva perfino troppo volentieri a disporre l'inginocchiatoio del presule.
Altro che alberi, tacchini e vino spumante.
Questa, una serata di Natale.
Sennonché in mezzo a questi pensieri, udì battere a una porta.
"Chi bussa alle porte del Duomo" si chiese don Valentino "la sera di Natale? Non hanno ancora pregato abbastanza? Che smania li ha presi?"
Pur dicendosi così andò ad aprire e con una folata di vento entrò un poverello in cenci.
"Che quantità di Dio! " esclamò sorridendo costui guardandosi intorno
- "Che bellezza! Lo si sente perfino di fuori. Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale. "
"E' di sua eccellenza l'arcivescovo" rispose il prete. "Serve a lui, fra un paio d'ore. Sua eccellenza fa già la vita di un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio! E poi io non sono mai stato monsignore."
"Neanche un pochino, reverendo? Ce n'è tanto! Sua eccellenza non se ne accorgerebbe nemmeno!"
"Ti ho detto di no... Puoi andare... Il Duomo è chiuso al pubblico" e congedò il poverello con un biglietto da cinque lire.
Ma come il disgraziato uscì dalla chiesa, nello stesso istante Dio disparve.
Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose:
Dio non c'era neppure lassù.
Lo spettacoloso apparato di colonne, statue, baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso e potente, era diventato all'improvviso inospitale e sinistro.
E tra un paio d'ore l'arcivescovo sarebbe disceso.
Con orgasmo don Valentino socchiuse una delle porte esterne, guardò nella piazza.
 Niente. Anche fuori, benché fosse Natale, non c'era traccia di Dio.
Dalle mille finestre accese giungevano echi di risate, bicchieri infranti, musiche e perfino bestemmie. Non campane, non canti.
Don Valentino uscì nella notte, se n'andò per le strade profane, tra fragore di scatenati banchetti. Lui però sapeva l'indirizzo giusto. Quando entrò nella casa, la famiglia amica stava sedendosi a tavola. Tutti si guardavano benevolmente l'un l'altro e intorno ad essi c'era un poco di Dio.
"Buon Natale, reverendo" disse il capofamiglia. "Vuol favorire?"
"Ho fretta, amici" rispose lui. "Per una mia sbadataggine Iddio ha abbandonato il Duomo e sua eccellenza tra poco va a pregare. Non mi potete dare il vostro? Tanto, voi siete in compagnia, non ne avete un assoluto bisogno."
"Caro il mio don Valentino" fece il capofamiglia. "Lei dimentica, direi, che oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero far a meno di Dio? Mi meraviglio, don Valentino."
E nell'attimo stesso che l'uomo diceva così Iddio sgusciò fuori dalla stanza, i sorrisi giocondi si spensero e il cappone arrosto sembrò sabbia tra i denti.
Via di nuovo allora, nella notte, lungo le strade deserte.
Cammina cammina, don Valentino infine lo rivide.
Era giunto alle porte della città e dinanzi a lui si stendeva nel buio, biancheggiando un poco per la neve, la grande campagna.
Sopra i prati e i filari di gelsi, ondeggiava Dio, come aspettando. Don Valentino cadde in ginocchio.
"Ma che cosa fa, reverendo?" gli domandò un contadino. "Vuoi prendersi un malanno con questo freddo?"
"Guarda laggiù figliolo. Non vedi?"
Il contadino guardò senza stupore. "È nostro" disse. "Ogni Natale viene a benedire i nostri campi."
" Senti " disse il prete. "Non me ne potresti dare un poco? In città siamo rimasti senza, perfino le chiese sono vuote. Lasciamene un pochino che l'arcivescovo possa almeno fare un Natale decente."
"Ma neanche per idea, caro il mio reverendo! Chi sa che schifosi peccati avete fatto nella vostra città. Colpa vostra. Arrangiatevi."
"Si è peccato, sicuro. E chi non pecca? Ma puoi salvare molte anime figliolo, solo che tu mi dica di sì."
"Ne ho abbastanza di salvare la mia!" ridacchiò il contadino, e nell'attimo stesso che lo diceva, Iddio si sollevò dai suoi campi e scomparve nel buio.
Andò ancora più lontano, cercando.
Dio pareva farsi sempre più raro e chi ne possedeva un poco non voleva cederlo (ma nell'atto stesso che lui rispondeva di no, Dio scompariva, allontanandosi progressivamente).
Ecco quindi don Valentino ai limiti di una vastissima landa, e in fondo, proprio all'orizzonte, risplendeva dolcemente Dio come una nube oblunga. Il pretino si gettò in ginocchio nella neve. "Aspettami, o Signore " supplicava "per colpa mia l'arcivescovo è rimasto solo, e stasera è Natale!"
Aveva i piedi gelati, si incamminò nella nebbia, affondava fino al ginocchio, ogni tanto stramazzava lungo disteso.
Quanto avrebbe resistito?
Finché udì un coro disteso e patetico, voci d'angelo, un raggio di luce filtrava nella nebbia.
Aprì una porticina di legno: era una grandissima chiesa e nel mezzo, tra pochi lumini, un prete stava pregando.
E la chiesa era piena di paradiso.
"Fratello" gemette don Valentino, al limite delle forze, irto di ghiaccioli "abbi pietà di me. Il mio arcivescovo per colpa mia è rimasto solo e ha bisogno di Dio. Dammene un poco, ti prego."
Lentamente si voltò colui che stava pregando.
E don Valentino, riconoscendolo, si fece, se era possibile, ancora più pallido.
"Buon Natale a te, don Valentino" esclamò l'arcivescovo facendosi incontro, tutto recinto di Dio.
"Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato?
Si può sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?"

Gli uccelli d’argilla

… Gesù si trovava in riva al lago e con Lui c’era Tommaso, intorno una moltitudine di gente.
Gesù si chinò e iniziò a plasmare con l’argilla del greto dodici piccoli uccellini, uno per ogni apostolo, rivolto a Tommaso disse:
- Adesso guarda che cosa faccio, lancio questa rete sopra gli uccellini perché non possano fuggire, casomai non prestassimo la dovuta attenzione.
-Vuoi forse dirmi che se questa rete viene sollevata, gli uccelli voleranno via? - domandò incredulo Tommaso.
-Sì, se la rete viene alzata, gli uccelli volano via.
- Ed è la prova con cui vorresti convincermi?
- Sì e no.
- Come sì e no?
- La miglior prova, ma quella non dipende da me, sarebbe che tu non sollevassi la rete e credessi che gli uccelli volerebbero via se tu la alzassi.
-Sono fatti di argilla…
-…e tu discendi da lui. Ad Adamo, Dio gli diede la vita.
Non dubitare oltre, Tommaso, e solleva la rete, io sono il Figlio di Dio.
- L’hai voluto tu, ecco, questo uccelli non voleranno!- con mossa rapida Tommaso alzò la rete e gli uccelli, liberi, spiccarono il volo, cinguettando volteggiarono per due volte sopra la folla meravigliata e poi scomparvero nello spazio.
Disse Gesù:
- Guarda, Tommaso, il tuo uccello se n’è andato…
E Tommaso rispose:
- No, Signore, è qui inginocchiato ai tuoi piedi, sono io.                   
La madre di San Pietro

Poi che San Pietro ebbe lasciato la terra ed ebbe raggiunto le sfere celesti, si diede a cercare la madre sua.
Cerca e cerca, ma la madre sua non c'è. 
Angosciato si presenta al Signore.
- Perché, - dice- perché mia madre non è qui?
La madre di San Pietro era stata una donna avara e bisbetica. 
Gelosa del bene altrui, non aveva mai avuto un pensiero buono per il prossimo suo.
Ma per il figlio era stata tutto amore, e il Santo non poteva persuadersi di non trovarla nella gloria di lassù.
Il Signore ebbe pietà di tanto dolore. Chiamò un Angelo, e gli comandò di scendere all'inferno e di risalire con la madre del Santo.
Poi condusse il figlio in un luogo da cui si poteva vedere quanto avveniva nel regno delle tenebre.
Ed ecco l'Angelo, con le ali aperte, scendere negli abissi.
Anime di dannati giacevano in stagni d'acqua oscura, altri s'arrampicavano su per le rocce in una disperata aspirazione di luce.
Alla vista dell'Angelo, milioni d'anime si protesero verso di lui:
-Prendimi, prendimi con te!
Il mandato dal cielo tagliò l'aria come una freccia e fu presso colei che doveva prendere; la  strinse a sé, risalì. 
Ma altre anime si erano avvinghiate alla vecchia e salivano con lei.
L'Angelo, per nulla affaticato, saliva, saliva.
Ma la madre di San Pietro cominciò a respingere quelle anime: le afferrava per le mani e le ricacciava giù.
Il figlio la guardava terrorizzato.
Avrebbe voluto gridare:
- No, mamma, non farlo; abbi pietà di loro, abbi pietà di te -; ma  non poteva. 
Un nodo gli serrava la gola.
Il volo dell'Angelo si faceva sempre più pesante.
Quando l'ultima delle anime fu ricacciata giù, anche la vecchia ricadde nel profondo.
Come se fosse diventata troppo pesante, l'Angelo non resse più, e risalì tristemente solo.
San Pietro, con la testa fra le mani, piange.
Ma, pur soverchiato dall'affanno, comprende la giustizia del Signore.
Nessuno, nemmeno un Angelo che scenda per noi negli abissi, può salvarci da noi stessi, dal nostro egoismo.  
Occorre che l'uomo, finché è in vita, provveda alla propria redenzione con l'Amore verso il prossimo: tutto il prossimo

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