Papa Francesco




INDICE

"Non abbiate paura della bontà e della tenerezza"                                                                      Testo integrale dell'omelia di Papa  Francesco

“Mai avere paura della tenerezza”
Intervista con papa Francesco su Natale, fame nel mondo, sofferenza dei bambini…
Andrea Tornielli (Vatican insider)

Omelia di Papa Francesco nella Messa di chiusura del
VIII Incontro Mondiale delle Famiglie di Philadelphia

Omelia del Santo Padre Francesco                                                                                               Basilica di San Paolo Fuori le Mura  III domenica dopo Pasqua 14 aprile 2013

L'arte di amare i nemici                                                                                                           (dall'omelia 19/06/2013)

L'Amore in Famiglia
( Piazza San Pietro 26/10/2013 )

Pensiamo al dolore di Gesù

Dallo scarto all'incontro: cambiamo atteggiamento verso i migranti

L'invidia e la gelosia: armi del diavolo

Dipende da noi diventare terreno buono senza spine nè sassi

La Misericordia e la profezia di un mondo nuovo giusto ed equo

Dio pensa a me. Dio si ricorda di me. Io sono la memoria di Dio. 

Ipocrisia: NO! 

Dio è  Padre.

Preghiamo, chiediamo miracoli! 

Proteggi e ama la vita dal suo inizio alla sua fine naturale. 

La misericordia che avremo usato sarà usata anche con noi.
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 Non abbiate paura della bontà e della tenerezza
 Il testo integrale dell'omelia di Papa Francesco
 
Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.
Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato  il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1).
Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l'amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.
Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!

La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!
E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.

Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!
Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!

Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio.
Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!

Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen.


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"Mai avere paura della tenerezza"

Il Natale per me è speranza e tenerezza...». Francesco racconta a «La Stampa» il suo primo Natale da vescovo di Roma. Casa Santa Marta, martedì 10 dicembre, ore 12.50. Il Papa ci accoglie in una sala accanto al refettorio.
L'incontro durerà un'ora e mezza. Per due volte, durante il colloquio, dal volto di Francesco sparisce la serenità che tutto il mondo ha imparato a conoscere, quando accenna alla sofferenza innocente dei bambini e parla della tragedia della fame nel mondo. Nell'intervista il Papa parla anche dei rapporti con le altre confessioni cristiane e dell'«ecumenismo del sangue» che le unisce nella persecuzione, accenna alle questioni del matrimonio e della famiglia che saranno trattate dal prossimo Sinodo, risponde a chi lo ha criticato dagli Usa definendolo «un marxista» e parla del rapporto tra Chiesa e politica.

Che cosa significa per lei il Natale?

«È l'incontro con Gesù. Dio ha sempre cercato il suo popolo, lo ha condotto, lo ha custodito, ha promesso di essergli sempre vicino. Nel Libro del Deuteronomio leggiamo che Dio cammina con noi, ci conduce per mano come un papà fa con il figlio. Questo è bello. Il Natale è l'incontro di Dio con il suo popolo. Ed è anche una consolazione, un mistero di consolazione. Tante volte, dopo la messa di mezzanotte, ho passato qualche ora solo, in cappella, prima di celebrare la messa dell'aurora. Con questo sentimento di profonda consolazione e pace. Ricordo una volta qui a Roma, credo fosse il Natale del 1974, una notte di preghiera dopo la messa nella residenza del Centro Astalli. Per me il Natale è sempre stato questo: contemplare la visita di Dio al suo popolo».

Che cosa dice il Natale all'uomo di oggi?

«Ci parla della tenerezza e della speranza. Dio incontrandoci ci dice due cose. La prima è: abbiate speranza. Dio apre sempre le porte, mai le chiude. È il papà che ci apre le porte. Secondo: non abbiate paura della tenerezza. Quando i cristiani si dimenticano della speranza e della tenerezza, diventano una Chiesa fredda, che non sa dove andare e si imbriglia nelle ideologie, negli atteggiamenti mondani. Mentre la semplicità di Dio ti dice: vai avanti, io sono un Padre che ti accarezza. Ho paura quando i cristiani perdono la speranza e la capacità di abbracciare e accarezzare. Forse per questo, guardando al futuro, parlo spesso dei bambini e degli anziani, cioè dei più indifesi. Nella mia vita di prete, andando in parrocchia, ho sempre cercato di trasmettere questa tenerezza soprattutto ai bambini e agli anziani. Mi fa bene, e mi fa pensare alla tenerezza che Dio ha per noi».


Come si può credere che Dio, considerato dalle religioni infinito e onnipotente, si faccia così piccolo?

«I Padri greci la chiamavano "synkatabasis", condiscendenza divina. Dio che scende e sta con noi. È uno dei misteri di Dio. A Betlemme, nel 2000, Giovanni Paolo II disse che Dio è diventato un bambino totalmente dipendente dalle cure di un papà e di una mamma. Per questo il Natale ci dà tanta gioia. Non ci sentiamo più soli, Dio è sceso per stare con noi. Gesù si è fatto uno di noi e per noi ha patito sulla croce la fine più brutta, quella di un criminale».


Il Natale viene spesso presentato come fiaba zuccherosa. Ma Dio nasce in un mondo dove c'è anche tanta sofferenza e miseria.

«Quello che leggiamo nei Vangeli è un annuncio di gioia. Gli evangelisti hanno descritto una gioia. Non si fanno considerazioni sul mondo ingiusto, su come faccia Dio a nascere in un mondo così. Tutto questo è il frutto di una nostra contemplazione: i poveri, il bambino che deve nascere nella precarietà. Il Natale non è stata la denuncia dell'ingiustizia sociale, della povertà, ma è stato un annuncio di gioia. Tutto il resto sono conseguenze che noi traiamo. Alcune giuste, altre meno giuste, altre ancora ideologizzate. Il Natale è gioia, gioia religiosa, gioia di Dio, interiore, di luce, di pace. Quando non si ha la capacità o si è in una situazione umana che non ti permette di comprendere questa gioia, si vive la festa con l'allegria mondana. Ma fra la gioia profonda e l'allegria mondana c'è differenza».

È il suo primo Natale, in un mondo dove non mancano conflitti e guerre...

«Dio mai dà un dono a chi non è capace di riceverlo. Se ci offre il dono del Natale è perché tutti abbiamo la capacità di comprenderlo e riceverlo. Tutti, dal più santo al più peccatore, dal più pulito al più corrotto. Anche il corrotto ha questa capacità: poverino, ce l'ha magari un po' arrugginita, ma ce l'ha. Il Natale in questo tempo di conflitti è una chiamata di Dio, che ci dà questo dono. Vogliamo riceverlo o preferiamo altri regali? Questo Natale in un mondo travagliato dalle guerre, a me fa pensare alla pazienza di Dio. La principale virtù di Dio esplicitata nella Bibbia è che Lui è amore. Lui ci aspetta, mai si stanca di aspettarci. Lui dà il dono e poi ci aspetta. Questo accade anche nella vita di ciascuno di noi. C'è chi lo ignora. Ma Dio è paziente e la pace, la serenità della notte di Natale è un riflesso della pazienza di Dio con noi».


In gennaio saranno cinquant'anni dallo storico viaggio di Paolo VI in Terra Santa. Lei ci andrà?

«Natale sempre ci fa pensare a Betlemme, e Betlemme è in un punto preciso, nella Terra Santa dove è vissuto Gesù. Nella notte di Natale penso soprattutto ai cristiani che vivono lì, a quelli che hanno difficoltà, ai tanti di loro che hanno dovuto lasciare quella terra per vari problemi. Ma Betlemme continua a essere Betlemme. Dio è venuto in un punto determinato, in una terra determinata, è apparsa lì la tenerezza di Dio, la grazia di Dio. Non possiamo pensare al Natale senza pensare alla Terra Santa. Cinquant'anni fa Paolo VI ha avuto il coraggio di uscire per andare là, e così è cominciata l'epoca dei viaggi papali. Anch'io desidero andarci, per incontrare il mio fratello Bartolomeo, patriarca di Costantinopoli, e con lui commemorare questo cinquantenario rinnovando l'abbraccio tra Papa Montini e Atenagora avvenuto a Gerusalemme nel 1964. Ci stiamo preparando».

Lei ha incontrato più volte i bambini gravemente ammalati. Che cosa può dire davanti a questa sofferenza innocente?

«Un maestro di vita per me è stato Dostoevskij, e quella sua domanda, esplicita e implicita, ha sempre girato nel mio cuore: perché soffrono i bambini? Non c'è spiegazione. Mi viene questa immagine: a un certo punto della sua vita il bambino si "sveglia", non capisce molte cose, si sente minacciato, comincia a fare domande al papà o alla mamma. È l'età dei "perché". Ma quando il figlio domanda, poi non ascolta tutto ciò che hai da dire, ti incalza subito con nuovi "perché?". Quello che cerca, più della spiegazione, è lo sguardo del papà che dà sicurezza. Davanti a un bambino sofferente, l'unica preghiera che a me viene è la preghiera del perché. Signore perché? Lui non mi spiega niente. Ma sento che mi guarda. E così posso dire: Tu sai il perché, io non lo so e Tu non me lo dici, ma mi guardi e io mi fido di Te, Signore, mi fido del tuo sguardo».

Parlando della sofferenza dei bambini non si può dimenticare la tragedia di chi soffre la fame.

«Con il cibo che avanziamo e buttiamo potremmo dar da mangiare a tantissimi. Se riuscissimo a non sprecare, a riciclare il cibo, la fame nel mondo diminuirebbe di molto. Mi ha impressionato leggere una statistica che parla di 10mila bambini morti di fame ogni giorno nel mondo. Ci sono tanti bambini che piangono perché hanno fame. L'altro giorno all'udienza del mercoledì, dietro una transenna, c'era una giovane mamma col suo bambino di pochi mesi. Quando sono passato, il bambino piangeva tanto. La madre lo accarezzava. Le ho detto: signora, credo che il piccolo abbia fame. Lei ha risposto: sì sarebbe l'ora... Ho replicato: ma gli dia da mangiare, per favore! Lei aveva pudore, non voleva allattarlo in pubblico, mentre passava il Papa. Ecco, vorrei dire lo stesso all'umanità: date da mangiare! Quella donna aveva il latte per il suo bambino, nel mondo  abbiamo sufficiente cibo per sfamare tutti. Se lavoriamo con le organizzazioni umanitarie e riusciamo a essere tutti d'accordo nel non sprecare il cibo, facendolo arrivare a chi ne ha bisogno, daremo un grande contributo per risolvere la tragedia della fame nel mondo. Vorrei ripetere all'umanità ciò che ho detto a quella mamma: date da mangiare a chi ha fame! La speranza e la tenerezza del Natale del Signore ci scuotano dall'indifferenza».

Alcuni brani dell'«Evangelii Gaudium» le hanno attirato le accuse degli ultra-conservatori americani. Che effetto fa a un Papa sentirsi definire «marxista»?

«L'ideologia marxista è sbagliata. Ma nella mia vita ho conosciuto tanti marxisti buoni come persone, e per questo non mi sento offeso». Le parole che hanno colpito di più sono quelle sull'economia che «uccide»... «Nell'esortazione non c'è nulla che non si ritrovi nella Dottrina sociale della Chiesa. Non ho parlato da un punto di vista tecnico, ho cercato di presentare una fotografia di quanto accade. L'unica citazione specifica è stata per le teorie della “ricaduta favorevole”, secondo le quali ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. C'era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s'ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri. Questo è stato l'unico riferimento a una teoria specifica. Ripeto, non ho parlato da tecnico, ma secondo la dottrina sociale della Chiesa. E questo non significa essere marxista».


Lei ha annunciato una «conversione del papato». Gli incontri con i patriarchi ortodossi le hanno suggerito qualche via concreta?


«Giovanni Paolo II aveva parlato in modo ancora più esplicito di una forma di esercizio del primato che si apra ad una situazione nuova. Ma non solo dal punto di vista dei rapporti ecumenici, anche nei rapporti con la Curia e con le Chiese locali. In questi primi nove mesi ho accolto la visita di tanti fratelli ortodossi, Bartolomeo, Hilarion, il teologo Zizioulas, il copto Tawadros: quest'ultimo è un mistico, entrava in cappella, si toglieva le scarpe e andava a pregare. Mi sono sentito loro fratello. Hanno la successione apostolica, li ho ricevuti come fratelli vescovi. È un dolore non poter ancora celebrare l'eucaristia insieme, ma l'amicizia c'è. Credo che la strada sia questa: amicizia, lavoro comune, e pregare per l'unità. Ci siamo benedetti l'un l'altro, un fratello benedice l'altro, un fratello si chiama Pietro e l'altro si chiama Andrea, Marco, Tommaso...».

L'unità dei cristiani è una priorità per lei?

«Sì, per me l'ecumenismo è prioritario. Oggi esiste l'ecumenismo del sangue. In alcuni paesi ammazzano i cristiani perché portano una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli non gli domandano se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è mischiato. Per coloro che uccidono, siamo cristiani. Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l'unità e forse non è ancora arrivato il tempo. L'unità è una grazia, che si deve chiedere. Conoscevo ad Amburgo un parroco che seguiva la causa di beatificazione di un prete cattolico ghigliottinato dai nazisti perché insegnava il catechismo ai bambini. Dopo di lui, nella fila dei condannati, c'era un pastore luterano, ucciso per lo stesso motivo. Il loro sangue si è mescolato. Quel parroco mi raccontava di essere andato dal vescovo e di avergli detto: "Continuo a seguire la causa, ma di tutti e due, non solo del cattolico". Questo è l'ecumenismo del sangue. Esiste anche oggi, basta leggere i giornali. Quelli che ammazzano i cristiani non ti chiedono la carta d'identità per sapere in quale Chiesa tu sia stato battezzato. Dobbiamo prendere in considerazione questa realtà».

Nell'esortazione lei ha invitato a scelte pastorali prudenti e audaci per quanto riguarda i sacramenti. A che cosa si riferiva?

«Quando parlo di prudenza non penso a un atteggiamento paralizzante, ma a una virtù di chi governa. La prudenza è una virtù di governo. Anche l'audacia lo è. Si deve governare con audacia e con prudenza. Ho parlato del battesimo, e della comunione come cibo spirituale per andare avanti, da considerare un rimedio e non un premio. Alcuni hanno subito pensato ai sacramenti per i divorziati risposati, ma io non sono sceso in casi particolari: volevo solo indicare un principio. Dobbiamo cercare di facilitare la fede delle persone più che controllarla. L'anno scorso in Argentina avevo denunciato l'atteggiamento di alcuni preti che non battezzavano i figli delle ragazze madri. È una mentalità ammalata».

E quanto ai divorziati risposati?

«L'esclusione della comunione per i divorziati che vivono una seconda unione non è una sanzione. È bene ricordarlo. Ma non ho parlato di questo nell'esortazione».

Ne tratterà il prossimo Sinodo dei vescovi?


«La sinodalità nella Chiesa è importante: del matrimonio nel suo complesso parleremo nelle riunioni del concistoro in febbraio. Poi il tema sarà affrontato al Sinodo straordinario dell'ottobre 2014 e ancora durante il Sinodo ordinario dell'anno successivo. In queste sedi tante cose si approfondiranno e si chiariranno».

Come procede il lavoro dei suoi otto «consiglieri» per la riforma della Curia?


«Il lavoro è lungo. Chi voleva avanzare proposte o inviare idee lo ha fatto. Il cardinale Bertello ha raccolto i pareri di tutti i dicasteri vaticani. Abbiamo ricevuto suggerimenti dai vescovi di tutto il mondo. Nell'ultima riunione gli otto cardinali hanno detto che siamo arrivati al momento di avanzare proposte concrete, e nel prossimo incontro, in febbraio, mi consegneranno i loro primi suggerimenti. Io sono sempre presente agli incontri, eccetto la mattina del mercoledì per via dell'udienza. Ma non parlo, ascolto soltanto, e questo mi fa bene. Un cardinale anziano alcuni mesi fa mi ha detto: "La riforma della Curia lei l'ha già cominciata con la messa quotidiana a Santa Marta". Questo mi ha fatto pensare: la riforma inizia sempre con iniziative spirituali e pastorali prima che con cambiamenti strutturali».

Qual è il giusto rapporto fra la Chiesa e la politica?

«Il rapporto deve essere allo stesso tempo parallelo e convergente. Parallelo, perché ognuno ha la sua strada e i suoi diversi compiti. Convergente, soltanto nell'aiutare il popolo. Quando i rapporti convergono prima, senza il popolo, o infischiandosene del popolo, inizia quel connubio con il potere politico che finisce per imputridire la Chiesa: gli affari, i compromessi... Bisogna procedere paralleli, ognuno con il proprio metodo, i propri compiti, la propria vocazione. Convergenti solo nel bene comune. La politica è nobile, è una delle forme più alte di carità, come diceva Paolo VI. La sporchiamo quando la usiamo per gli affari. Anche la relazione fra Chiesa e potere politico può essere corrotta, se non converge soltanto nel bene comune».

Posso chiederle se avremo donne cardinale?


«È una battuta uscita non so da dove. Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non "clericalizzate". Chi pensa alle donne cardinale soffre un po' di clericalismo».

Come procede il lavoro di pulizia allo Ior?

«Le commissioni referenti stanno lavorando bene. Moneyval ci ha dato un report buono, siamo sulla strada giusta. Sul futuro dello Ior si vedrà. Per esempio, la "banca centrale" del Vaticano sarebbe l'Apsa. Lo Ior è stato istituito per aiutare le opere di religione, missioni, le Chiese povere. Poi è diventato come è adesso».

Un anno fa poteva immaginare che il Natale 2013  lo avrebbe celebrato in San Pietro?
«Assolutamente no».

Si aspettava di essere eletto?

«Non me l'aspettavo. Non ho perso la pace mentre crescevano i voti. Sono rimasto tranquillo. E quella pace c'è ancora adesso, la considero un dono del Signore. Finito l'ultimo scrutinio, mi hanno portato al centro della Sistina e mi è stato chiesto se accettavo. Ho risposto di sì, ho detto che mi sarei chiamato Francesco. Soltanto allora mi sono allontanato. Mi hanno portato nella stanza adiacente per cambiarmi l'abito. Poi, poco prima di affacciarmi, mi sono inginocchiato a pregare per qualche minuto insieme ai cardinali Vallini e Hummes nella cappella Paolina».



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L’omelia di Papa Francesco nella Messa di chiusura dell’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie a Philadelphia


“Non ostacolate ciò che è buono – dice Gesù –, al contrario, aiutatelo a crescere”. Lo ha detto Papa Francesco durante l’omelia della Messa conclusiva dell’VIII Incontro mondiale delle famiglie nel Benjamin Franklin Parkway a Philadelfia. “Mettere in dubbio l’opera dello Spirito, dare l’impressione che essa non ha nulla a che fare con quelli che non sono “del nostro gruppo”, che non sono “come noi”, è una tentazione pericolosa. Non solo blocca la conversione alla fede, ma costituisce una perversione della fede”. La fede apre la “finestra” alla presenza operante dello Spirito e ci dimostra che, “come la felicità, la santità è sempre legata ai piccoli gesti” ha sottolineato Papa Francesco ed ha aggiunto: “Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome … non perderà la sua ricompensa” dice Gesù. Sono gesti minimi, che uno impara a casa; gesti di famiglia che si perdono nell’anonimato della quotidianità, ma che, prosegue il pontefice “rendono ogni giorno diverso dall’altro. Sono gesti di madre, di nonna, di padre, di nonno, di figlio. Sono gesti di tenerezza, di affetto, di compassione. Gesti come il piatto caldo di chi aspetta a cenare, come la prima colazione presto di chi sa accompagnare nell’alzarsi all’alba. Sono gesti familiari. E’ la benedizione prima di dormire e l’abbraccio al ritorno da una lunga giornata di lavoro”. L’amore, ha spiegato il Papa “si esprime in piccole cose, nell’attenzione ai dettagli di ogni giorno che fanno sì che la vita abbia sempre sapore di casa. La fede cresce quando è vissuta e plasmata dall’amore. Perciò le nostre famiglie, le nostre case sono autentiche Chiese domestiche: sono il luogo adatto in cui la fede diventa vita e la vita diventa fede”.
Nel corso dell’omelia pronunciata a Philadelfia Papa Francesco ha detto:”Noi cristiani, discepoli del Signore, chiediamo alle famiglie del mondo che ci aiutino. Siamo tanti oggi a partecipare a questa celebrazione, e questo è già in sé stesso qualcosa di profetico, una specie di miracolo nel mondo di oggi. Magari fossimo tutti profeti! Magari ciascuno di noi si aprisse ai miracoli dell’amore per il bene di tutte le famiglie del mondo, e per poter così superare lo scandalo di un amore meschino e sfiduciato, chiuso in sé stesso, senza pazienza con gli altri!”. Ed ha esortato: “Come sarebbe bello se dappertutto, anche al di là dei nostri confini, potessimo incoraggiare e apprezzare questa profezia e questo miracolo! Rinnoviamo la nostra fede nella parola del Signore che invita le nostre famiglie a questa apertura; che invita tutti a partecipare alla profezia dell’alleanza tra un uomo e una donna, che genera vita e rivela Dio”.

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Omelia del Santo Padre Francesco  
 Basilica di San Paolo Fuori le Mura  
III domenica dopo Pasqua 14 aprile 2013

Cari fratelli e sorelle!
È per me una gioia celebrare l’Eucaristia con voi in questa Basilica. Saluto l’Arciprete, il Cardinale James Harvey, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto; con lui saluto e ringrazio le varie Istituzioni che fanno parte di questa Basilica, e tutti voi. Siamo sulla tomba di san Paolo, un umile e grande Apostolo del Signore, che lo ha annunciato con la parola, lo ha testimoniato col martirio e lo ha adorato con tutto il cuore. Sono proprio questi i tre verbi sui quali vorrei riflettere alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato: annunciare, testimoniare, adorare.
1. Nella Prima Lettura colpisce la forza di Pietro e degli altri Apostoli. Al comando di tacere, di non insegnare più nel nome di Gesù, di non annunciare più il suo Messaggio, essi rispondono con chiarezza: «Bisogna obbedire a Dio, invece che agli uomini». E non li ferma nemmeno l’essere flagellati, il subire oltraggi, il venire incarcerati. Pietro e gli Apostoli annunciano con coraggio, con parresia, quello che hanno ricevuto, il Vangelo di Gesù. E noi? Siamo capaci di portare la Parola di Dio nei nostri ambienti di vita? Sappiamo parlare di Cristo, di ciò che rappresenta per noi, in famiglia, con le persone che fanno parte della nostra vita quotidiana? La fede nasce dall’ascolto, e si rafforza nell’annuncio.
2. Ma facciamo un passo avanti: l’annuncio di Pietro e degli Apostoli non è fatto solo di parole, ma la fedeltà a Cristo tocca la loro vita, che viene cambiata, riceve una direzione nuova, ed è proprio con la loro vita che essi rendono testimonianza alla fede e all’annuncio di Cristo. Nel Vangelo, Gesù chiede a Pietro per tre volte di pascere il suo gregge e di pascerlo con il suo amore, e gli profetizza: «Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21,18). E’ una parola rivolta anzitutto a noi Pastori: non si può pascere il gregge di Dio se non si accetta di essere portati dalla volontà di Dio anche dove non vorremmo, se non si è disposti a testimoniare Cristo con il dono di noi stessi, senza riserve, senza calcoli, a volte anche a prezzo della nostra vita. Ma questo vale per tutti: il Vangelo va annunciato e testimoniato. Ciascuno dovrebbe chiedersi: Come testimonio io Cristo con la mia fede? Ho il coraggio di Pietro e degli altri Apostoli di pensare, scegliere e vivere da cristiano, obbedendo a Dio? Certo la testimonianza della fede ha tante forme, come in un grande affresco c’è la varietà dei colori e delle sfumature; tutte però sono importanti, anche quelle che non emergono. Nel grande disegno di Dio ogni dettaglio è importante, anche la tua, la mia piccola e umile testimonianza, anche quella nascosta di chi vive con semplicità la sua fede nella quotidianità dei rapporti di famiglia, di lavoro, di amicizia. Ci sono i santi di tutti i giorni, i santi “nascosti”, una sorta di “classe media della santità”, come diceva uno scrittore francese, quella “classe media della santità” di cui tutti possiamo fare parte. Ma in varie parti del mondo c’è anche chi soffre, come Pietro e gli Apostoli, a causa del Vangelo; c’è chi dona la sua vita per rimanere fedele a Cristo con una testimonianza segnata dal prezzo del sangue. Ricordiamolo bene tutti: non si può annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca e rendere gloria a Dio! Mi viene in mente adesso un consiglio che san Francesco d’Assisi dava ai suoi fratelli: predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole. Predicare con la vita: la testimonianza. L’incoerenza dei fedeli e dei Pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la credibilità della Chiesa.
3. Ma tutto questo è possibile soltanto se riconosciamo Gesù Cristo, perché è Lui che ci ha chiamati, ci ha invitati a percorrere la sua strada, ci ha scelti. Annunciare e testimoniare è possibile solo se siamo vicini a Lui, proprio come Pietro, Giovanni e gli altri discepoli nel brano del Vangelo di oggi sono attorno a Gesù Risorto; c’è una vicinanza quotidiana con Lui, ed essi sanno bene chi è, lo conoscono. L’Evangelista sottolinea che «nessuno osava domandargli: “Chi sei?”, perché sapevano bene che era il Signore» (Gv 21,12). E questo è un punto importante per noi: vivere un rapporto intenso con Gesù, un’intimità di dialogo e di vita, così da riconoscerlo come “il Signore”. Adorarlo! Il brano dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato ci parla dell’adorazione: le miriadi di angeli, tutte le creature, gli esseri viventi, gli anziani, si prostrano in adorazione davanti al Trono di Dio e all’Agnello immolato, che è Cristo, a cui va la lode, l’onore e la gloria (cfr Ap 5,11-14). Vorrei che ci ponessimo tutti una domanda: Tu, io, adoriamo il Signore? Andiamo da Dio solo per chiedere, per ringraziare, o andiamo da Lui anche per adorarlo? Che cosa vuol dire allora adorare Dio? Significa imparare a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte. Ognuno di noi, nella propria vita, in modo consapevole e forse a volte senza rendersene conto, ha un ben preciso ordine delle cose ritenute più o meno importanti. Adorare il Signore vuol dire dare a Lui il posto che deve avere; adorare il Signore vuol dire affermare, credere, non però semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra vita; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia.
Questo ha una conseguenza nella nostra vita: spogliarci dei tanti idoli piccoli o grandi che abbiamo e nei quali ci rifugiamo, nei quali cerchiamo e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. Sono idoli che spesso teniamo ben nascosti; possono essere l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri. Questa sera vorrei che una domanda risuonasse nel cuore di ciascuno di noi e che vi rispondessimo con sincerità: ho pensato io a quale idolo nascosto ho nella mia vita, che mi impedisce di adorare il Signore? Adorare è spogliarci dei nostri idoli anche quelli più nascosti, e scegliere il Signore come centro, come via maestra della nostra vita.
Cari fratelli e sorelle, il Signore ci chiama ogni giorno a seguirlo con coraggio e fedeltà; ci ha fatto il grande dono di sceglierci come suoi discepoli; ci invita ad annunciarlo con gioia come il Risorto, ma ci chiede di farlo con la parola e con la testimonianza della nostra vita, nella quotidianità. Il Signore è l’unico, l’unico Dio della nostra vita e ci invita a spogliarci dei tanti idoli e ad adorare Lui solo. Annunciare, testimoniare, adorare. La Beata Vergine Maria e l’Apostolo Paolo ci aiutino in questo cammino e intercedano per noi. Così sia.
                                                                       Basilica di San Paolo Fuori le Mura  14 aprile 2013

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Il dolore di Gesù 


Dio ha messo sulla Croce di Gesù tutto il peso dei nostri peccati, tutte le ingiustizie perpetrate da ogni Caino contro suo fratello, tutta l’amarezza del tradimento di Giuda e di Pietro, tutta la vanità dei prepotenti, tutta l’arroganza dei falsi amici.
Era una croce pesante, come la notte delle persone abbandonate, pesante come la morte delle persone care, pesante perché riassume tutta la bruttura del male.
Tuttavia, è anche una Croce gloriosa come l’alba di una notte lunga, perché raffigura in tutto l’amore di Dio che è più grande delle nostre iniquità e dei nostri tradimenti.
Nella Croce vediamo la mostruosità dell’uomo, quando si lascia guidare dal male; ma vediamo anche l’immensità della misericordia di Dio che non ci tratta secondo i nostri peccati, ma secondo la sua misericordia.

Approfondimento: http://www.papafrancesco.net/pensiamo-al-dolore-di-gesu-la…/
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L’arte di amare i nemici
Amare i nostri nemici, quelli che ci perseguitano e ci fanno soffrire, è difficile e non è neppure un “buon affare” perché ci impoverisce. Eppure è questa la strada indicata e percorsa da Gesù per la nostra salvezza. Di questo ha parlato Papa Francesco nell’omelia della messa celebrata stamane,
Durante l’omelia il Pontefice ha ricordato che la liturgia in questi giorni propone di riflettere sui parallelismi fra «la legge antica e la legge nuova, la legge del monte Sinai e la legge del monte delle beatitudini». Entrando nello specifico delle letture — dalla seconda lettera di san Paolo ai Corinzi (8, 1-9) e dal vangelo di Matteo (5, 43-48) — il Santo Padre si è soffermato sulla difficoltà dell’amore ai nemici e chiedendosi come sia possibile perdonare: «Anche noi, tutti noi, abbiamo nemici, tutti. Alcuni nemici deboli, alcuni forti. Anche noi tante volte diventiamo nemici di altri; non gli vogliamo bene. Gesù ci dice dobbiamo amare i nemici».
Non si tratta di un impegno facile e, in genere, «pensiamo che Gesù ci chiede troppo. Pensiamo: “Lasciamo queste cose alle suore di clausura che sono sante, a qualche anima santa!”». Ma non è l’atteggiamento giusto. «Gesù — ha ricordato il Papa — dice che si deve fare questo perché altrimenti siete come i pubblicani, come i pagani, e non siete cristiani». Di fronte ai tanti drammi che segnano l’umanità, ha ammesso, è difficile fare questa scelta: come si può amare, infatti, «quelli che prendono la decisione di fare un bombardamento e ammazzare tante persone? Come si possono amare quelli che per amore dei soldi non lasciano arrivare le medicine a chi ne ha bisogno, agli anziani, e li lasciano morire?». E ancora: «Come si possono amare le persone che cercano solo il loro interesse, il loro potere e fanno tanto male?».
Io non so — ha affermato il vescovo di Roma — «come si possa fare. Ma Gesù ci dice due cose: primo, guardare al Padre. Nostro Padre è Dio: fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni; fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Nostro Padre al mattino non dice al sole: “Oggi illumina questi e questi; questi no, lasciali nell’ombra!”. Dice: “Illumina tutti”. Il suo amore è per tutti, il suo amore è un dono per tutti, buoni e cattivi. E Gesù finisce con questo consiglio: “Voi dunque siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste”». Dunque l’indicazione di Gesù è di imitare il Padre in «quella perfezione dell’amore. Lui perdona ai suoi nemici. Fa tutto per perdonarli. Pensiamo con quanta tenerezza Gesù riceve Giuda nell’orto degli ulivi», quando tra i discepoli c’è chi pensa alla vendetta.
«La vendetta — ha detto in proposito il Pontefice — è quel pasto tanto buono quando si mangia freddo» e per questo attendiamo il momento giusto per compierla. «Ma questo — ha ripetuto — non è cristiano. Gesù ci chiede di amare i nemici. Come si può fare? Gesù ci dice: pregate, pregate per i vostri nemici». La preghiera fa miracoli e ciò vale non solo quando siamo in presenza di nemici; vale anche quando nutriamo qualche antipatia, «qualche piccola inimicizia». E allora bisogna pregare, perché «è come se il Signore venisse con l’olio e preparasse i nostri cuori alla pace».
Ma — ha aggiunto il Papa rivolgendosi ai presenti — «ora vorrei lasciarvi una domanda, alla quale ciascuno può rispondere in cuor suo: io prego per i miei nemici? Io prego per quelli che non mi vogliono bene? Se noi diciamo di sì, io vi dico: vai avanti, prega di più, perché questa è una buona strada. Se la risposta è no, il Signore dice: Poveretto! Anche tu sei nemico degli altri! E allora bisogna pregare perché il Signore cambi i loro cuori».
Il Papa ha poi messo in guardia da atteggiamenti tesi a giustificare la vendetta a seconda del grado dell’offesa ricevuta, del male fatto da altri: la vendetta, cioè, fondata sul principio «occhio per occhio, dente per dente». Dobbiamo guardare ancora all’esempio di Gesù: «Conoscete infatti la grazia di cui parla oggi l’apostolo Paolo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. È vero: l’amore ai nemici ci impoverisce, ci fa poveri, come Gesù, il quale, quando è venuto, si è abbassato sino a farsi povero». Forse non è un “buon affare”, ha aggiunto il Pontefice, o almeno non lo è secondo le logiche del mondo. Eppure, «è la strada che ha fatto Dio, la strada che ha fatto Gesù», sino a conquistarci la grazia che ci ha fatto ricchi.
Questo «è il mistero della salvezza: con il perdono, con l’amore per il nemico noi diventiamo più poveri. Ma quella povertà è seme fecondo per gli altri, come la povertà di Gesù è diventata grazia per tutti noi, salvezza. Pensiamo ai nostri nemici, a chi non ci vuole bene. Sarebbe bello se offrissimo la messa per loro, se offrissimo il sacrificio di Gesù per loro che non ci amano. E anche per noi, perché il Signore ci insegni questa saggezza: tanto difficile ma anche tanto bella e ci rende simili anche al suo Figlio, che nel suo abbassamento si è fatto povero per arricchire noi della sua povertà»
 
                              (dall'omelia di Papa Francesco 19/06/2013)


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L'Amore in Famiglia
Chi si sposa nel Sacramento dice: «Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e
nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni
della mia vita». Gli sposi in quel momento non sanno cosa accadrà, non sanno quali
gioie e quali dolori li attendono. Partono, come Abramo, si mettono in cammino
insieme. E questo è il matrimonio! Partire e camminare insieme, mano nella mano,
affidandosi alla grande mano del Signore. Mano nella mano, sempre e per tutta la
vita!
 
E hanno bisogno dell'aiuto di Gesù, per camminare insieme con fiducia, per
accogliersi l'un l'altro ogni giorno, e perdonarsi ogni giorno! E questo è
importante! Nelle famiglie sapersi perdonare, perché tutti noi abbiamo difetti,
tutti! Talvolta facciamo cose che non sono buone e fanno male agli altri. Avere il
coraggio di chiedere scusa, quando in famiglia sbagliamo...
 
Tre parole: permesso, grazie, scusa. Tre parole chiave! Chiediamo permesso per non
essere invadenti in famiglia. "Posso fare questo? Ti piace che faccia questo?". Col
linguaggio del chiedere permesso. Diciamo grazie, grazie per l'amore! Ma dimmi,
quante volte al giorno tu dici grazie a tua moglie, e tu a tuo marito? Quanti giorni
passano senza dire questa parola, grazie! E l'ultima: scusa. Tutti sbagliamo e alle
volte qualcuno si offende nella famiglia e nel matrimonio, e alcune volte - io dico
- volano i piatti, si dicono parole forti, ma sentite questo consiglio: non finire
la giornata senza fare la pace. La pace si rifà ogni giorno in famiglia!
 
 
Papa Francesco 
Piazza San Pietro
Sabato, 26 ottobre 2013
 

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Dallo scarto all'incontro

È necessario un cambio di atteggiamento verso i migranti e rifugiati da parte di tutti; il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione – che, alla fine, corrisponde proprio alla “cultura dello scarto” – ad un atteggiamento che abbia alla base la “cultura dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore.

Mi preme, inoltre, richiamare l’attenzione sulle decine di migliaia di bambini che emigrano soli, non accompagnati, per sfuggire alla povertà e alla violenza: è questa una categoria di migranti che, dal Centroamerica e dal Messico attraversa la frontiera con gli Stati Uniti d’America in condizioni estreme, in cerca di una speranza che la maggior parte delle volte risulta vana. Essi aumentano di giorno in giorno.

Tale emergenza umanitaria richiede, come primo, urgente intervento, che questi minori siano accolti e protetti. Tali misure, tuttavia, non saranno sufficienti, ove non siano accompagnate da politiche di informazione circa i pericoli di un tale viaggio e, soprattutto, di promozione dello sviluppo nei loro Paesi di origine.

 
Approfondimento: http://www.papafrancesco.net/dallo-scarto-allincontro-cambiamo-atteggiamento-verso-i-migranti/


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 L'invidia arma del diavolo

La persona invidiosa, la persona gelosa è una persona amara…
non sa cantare, non sa lodare, non sa cosa sia la gioia. 
Dietro la chiacchiera c’è la gelosia  e l’invidia.                                                                                 
E le chiacchiere dividono la comunità, distruggono la comunità.
Sono le armi del diavolo.  
Papa Francesco    

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 Dipende da noi diventare terreno buono

Dipende da noi diventare terreno buono senza spine né sassi, ma dissodato e coltivato con cura, affinché possa portare buoni frutti per noi e per i nostri fratelli.

E ci farà bene non dimenticare che anche noi siamo seminatori. Dio semina semi buoni, e anche qui possiamo porci la domanda: che tipo di seme esce dal nostro cuore e dalla nostra bocca?

Le nostre parole possono fare tanto bene e anche tanto male; possono guarire e possono ferire; possono incoraggiare e possono deprimere. Ricordatevi: quello che conta non è ciò che entra, ma quello che esce dalla bocca e dal cuore.

Approfondimento: http://www.papafrancesco.net/dipende-da-noi-diventare-terreno-buono-senza-spine-ne-sassi/


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 La misericordia
“Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. In queste parole del Padre nostro c’è tutto un progetto di vita, basato sulla misericordia. La misericordia, l’indulgenza, la remissione dei debiti, non è solo qualcosa di devozionale, di intimo, un palliativo spirituale, una sorta di olio che ci aiuta ad essere più soavi, più buoni, no. È la profezia di un mondo nuovo: misericordia è profezia di un mondo nuovo, in cui i beni della terra e del lavoro siano equamente distribuiti e nessuno sia privo del necessario, perché la solidarietà e la condivisione sono la conseguenza concreta della fraternità.
...
Siamo tutti consapevoli che questa strada non è quella del mondo; non siamo dei sognatori, degli illusi, né vogliamo creare oasi fuori dal mondo. Crediamo piuttosto che questa strada è quella buona per tutti, è la strada che veramente ci avvicina alla giustizia e alla pace.

Approfondimento: http://www.papafrancesco.net/la-misericordia-e-la-profezia-di-un-mondo-nuovo-giusto-ed-equo/


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 Io sono nella memoria di Dio
L’importante è non stare fermi. Tutti sappiamo che quando l’acqua sta ferma marcisce. C’è un detto in spagnolo che dice: “L’acqua ferma è la prima a corrompersi”. Non stare fermi. Dobbiamo camminare, fare un passo ogni giorno, con l’aiuto del Signore. Dio è Padre, è misericordia, ci ama sempre. Se noi Lo cerchiamo, Lui ci accoglie e ci perdona. Come ho detto, non si stanca di perdonare. È il motto di questa visita: “Dio non si stanca di perdonare”. Ci fa rialzare e ci restituisce pienamente la nostra dignità. Dio ha memoria, non è uno smemorato. Dio non si dimentica di noi, si ricorda sempre. C’è un passo della Bibbia, del profeta Isaia, che dice: Se anche una madre si dimenticasse del proprio figlio – ed è impossibile – io non ti dimenticherò mai (cfr Is 49,15). E questo è vero: Dio pensa a me, Dio si ricorda di me. Io sono nella memoria di Dio.

Approfondimento: http://www.papafrancesco.net/papa-francesco-carcere-omelia-isernia-molise/

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"Siamo tutti peccatori. Ma chiediamo al Signore di non essere ipocriti.                                                         Gli ipocriti non sanno cosa sia il perdono, la gioia, l’amore di Dio."
                                                                                              Papa Francesco , Twitter, 23/06/13
                                                                            ----°°°°----

 Padre...

"Non c’è bisogno di sprecare tante parole per pregare: il Signore sa quello che vogliamo dirgli.           L’importante è che la prima parola della nostra preghiera sia «Padre»."
                                                                                                 (Papa Francesco Casa Santa Marta)

 
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 La preghiera, i miracoli .

Papa Francesco durante la santa Messa ha parlato della preghiera che coinvolge tutti..
E a questo proposito ha raccontato un episodio accaduto in Argentina: una bimba di 7 anni si ammala e i medici le danno poche ore di vita. Il papà, un elettricista, “uomo di fede”, è “diventato come pazzo – racconta il Pontefice - e in quella pazzia” ha preso un autobus per andare al Santuario mariano di Lujan, lontano 70 km:
“E’ arrivato dopo le 9 di sera, quando era tutto chiuso. E lui ha incominciato a pregare la Madonna, con le mani sulla cancellata di ferro. E pregava, e pregava, e piangeva, e pregava … e così, così è rimasto tutta la notte. Ma quest’uomo lottava: lottava con Dio, lottava proprio con Dio per fare la guarigione della sua fanciulla. Poi, dopo le 6 del mattino, è andato al terminal, ha preso il bus ed è arrivato a casa, all’ospedale alle 9, più o meno. E ha trovato la moglie piangente. E ha pensato al peggio. ‘Ma cosa succede? Non capisco, non capisco! Cosa è successo?’. ‘Mah, sono venuti i dottori e mi hanno detto che la febbre se n’è andata, che respira bene, che non c’è niente! La lasceranno due giorni in più, ma non capiscono che cosa è successo!’. Questo succede ancora, eh?, i miracoli ci sono!”

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(Papa Francesco 21 maggio 2013  )

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Ama la vita


La Giornata dedicata a riflettere sulla santità del dono della vita che viene da Dio - indetta nel Regno Unito e Irlanda per il prossimo 27 luglio 2014 - vi ispiri a combattere la cultura della morte, non solo lavorando per garantire un'adeguata tutela legale per il diritto umano fondamentale alla vita, ma anche cercando di portare l'amore misericordioso di Cristo come un balsamo che dà vita a quelle preoccupanti ‘nuove forme di povertà e fragilità’, sempre più evidenti nella società contemporanea.

Approfondimento:  

http://www.papafrancesco.net/livelife-proteggi-e-ama-la-vita-dal-suo-inizio-alla-fine-naturale/
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La misericordia che avremo usato sarà usata anche con noi 
 
Il nostro Dio è un padre paziente, che ci aspetta sempre e ci aspetta con il cuore in mano per accoglierci, per perdonarci. Egli sempre ci perdona se andiamo da Lui.

L’atteggiamento di Dio è quello della speranza fondata sulla certezza che il male non ha né la prima né l’ultima parola. Ed è grazie a questa paziente speranza di Dio che la stessa zizzania, cioè il cuore cattivo con tanti peccati, alla fine può diventare buon grano. Ma attenzione: la pazienza evangelica non è indifferenza al male; non si può fare confusione tra bene e male! Di fronte alla zizzania presente nel mondo il discepolo del Signore è chiamato a imitare la pazienza di Dio, alimentare la speranza con il sostegno di una incrollabile fiducia nella vittoria finale del bene, cioè di Dio.
...
Alla fine saremo tutti giudicati con lo stesso metro con cui abbiamo giudicato: la misericordia che avremo usato verso gli altri sarà usata anche con noi.

Chiediamo alla Madonna, nostra Madre, di aiutarci a crescere nella pazienza, nella speranza e nella misericordia con tutti i fratelli.

Approfondimento:

http://www.papafrancesco.net/la-misericordia-che-avremo-usato-sara-usata-anche-con-noi/